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Politica. Meridionalismo. Blues.

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martedì 20 marzo 2012

La lettura del mese.

Sto rileggendo con piacere "L'anno della morte di Ricardo Reis" di Josè Saramago, sorta di diario dell'ultima fase di vita di un medico rientrato dal Brasile, dove visse ed esercitò per più di quindici anni, in Portogallo, suo Paese di nascita e di vividi ricordi. L'intervallo di tempo trascorso prima del rientro è quasi ignorato ed al centro del romanzo palpita un Paese colonizzatore, ma povero. Il protagonista è al corrente, siamo nel 1935, dei fatti più importanti che accadono in Europa, comprese le intrepide avventure del nuovo impero romano, in Abissinia e Libia. Era un tempo di dittature feroci, in Europa, esercitate da personalità quantomeno eccentriche e populiste. Sentite che nomi: Salazar, Franco, Hitler, Mussolini.
Quel quadro storico è per fortuna irripetibile. Ma si avverte un'altra dittatura, non esercitata, per così dire fisicamente, su di noi Europei di periferia. La dittatura dell'economia, delle banche. Non ti lasciano vivere, se non contando i centesimi.

venerdì 2 marzo 2012

Il Blues dei campi di lavoro.

Il Blues dei campi di lavoro è in pieno contrasto con gli hollers. Qui vengono impiegate frasi più corte con momenti ritmici più evidenti. Il ritmo era scandito dalla chitarra, che con le corde basse dettava i ritmi del lavoro e del gruppo canoro in modo che fossero in sincronia. Era la ripetizione del primo verso che trasformava il canto di lavoro in blues. E' questo il Blues della fatica e della preghiera. Grande Son House nell'esprimere, con pause riempite con note di percussione, l'enorme voglia di libertà dei neri d'America.

giovedì 1 marzo 2012

Holler e blues.

I due Stati in cui il blues ebbe un'evoluzione decisa furono il Texas ed il Mississippi. Il Texas, arido quanto basta per limitare le coltivazione a poche fattorie isolate, dove quindi il blues non subì evidenti cambiamenti ad esclusione della predominanza sull'holler, ed il Mississippi, ricco, florido, con molte piantagioni ed una grande diffusione del blues tradizionale.
In Texas si evidenziò un innalzamento del tono dell'esecuzione ed una libertà ritmica dello stile accentuata. Le melodie avevano una peculiare progressione di alto e basso, cominciavano con una nota vicina alla più alta e poi scendevano a intervalli di tre note. La scala vocale era in genere pentatonica, una scala di cinque note di probabile origine africana, invece della scala diatonica di otto note, tipica della musica europea.
Il blues non è fatto solo per essere ascoltato. Texas Alexander, sì.

mercoledì 29 febbraio 2012

Le due origini del blues.

Il Mississippi diede i natali al Blues. Come in ogni genere musicale che si rispetti, un artista, un musicista in quel dato momento intuisce e propone una nuova via espressiva. Così successe per il blues elettronico, nella Chicago del dopoguerra con Muddy Waters o con Chuck Berry nel caso del rock'n roll.
Ebbene, nel Delta di quel grande fiume, un artista, ma alla fine cosa importa chi fu, colse l'attimo e mise in musica i canti da lavoro che gli afroamericani, costretti per moltissime ore alla fatica, ripetevano instancabilmente. Gli "hollers", strofe brevi accompagnate da una o due frasi melodiche, impiegarono poco tempo per divenire blues.
Mi permetto di suggerire Charley Patton, Son House, Howlin' Wolf e Robert Johnson per immergervi nel vero blues.

martedì 28 febbraio 2012

Caratteri peculiari del Blues.

Nel post di ieri abbiamo dato una definizione parziale del nostro genere preferito. Oggi aggiungiamo che ciò che rende unica la strofa del blues è la ripetizione del primo verso e l'uso delle strofe come un unico tema da svolgere.
Il termine blues era molto diffuso in America molto prima che nascesse il genere musicale. Dire I've got the blues, negli anni '30 e '40 dell'ottocento significava annoiarsi. Già negli anni '60 assunse il significato di infelicità.
La prima volta che venne usato il termine blues per il titolo di una canzone fu nel 1912 da un musicista bianco, Hart Wand, violinista. Il pezzo, intitolato "The Dallas Blues", non ebbe fortuna. L'idea fu imitata da W.C. Handy un anno dopo. Egli pubblicò tre canzoni, di cui una prese il nome di "St. Louis Blues". Fu il primo successo di pubblico.
Sapete come veniva chiamata la band che suonava il blues? Banda di latta!

lunedì 27 febbraio 2012

La fine del banjo e l'inizio dell'era della chitarra.

Bentornati alla conoscenza della storia del Blues.
Il banjo ha fornito il ritmo e gli arpeggi giusti per un lungo periodo. Ma male si confaceva al timbro basso, profondo del blues singer, che finì per lasciarlo ai bianchi del minstrel (ricordate, lo spettacolo razzista dove i bianchi imitavano e sbeffeggiavano i neri), ben contenti di inseguire toni alti e nasali per le loro esibizioni. La chitarra risultò avere caratteristiche appropriate: aveva il suono lungo abbastanza, un tono caldo e consentiva arpeggi che per molto tempo ricordarono il banjo.
Con la chitarra nasce la definizione tecnica del blues: canzone con strofe costruita a partire da tre brevi frasi musicali che accompagnavano una strofa del testo, tanto specifica come la sequenza armonica della frase. La forma classica del blues è rappresentata dalla famosa strofa di tre versi, con dodici battute di un tempo 4/4, con uno schema ritmico A-A-B e una lunghezza del verso spesso diviso in battute su cinque sillabe accentuate.
Per quanto sembri ostica, la questione è spiegabile ascoltando interpreti immensi, come Jonh Lee Hooker. A presto.

venerdì 24 febbraio 2012

Banjo e violino insieme: nasce il blues.

Non possiamo affermare che il banjo sia stato lo strumento principale del blues, ma insieme al violino ha creato i presupposti, le tecniche per dare forma al genere. Negli Stati Uniti del Sud, in quegli anni, si realizza un'alchimia unica, che si ripeterà poche altre volte in futuro, forse nel Jazz: il banjo viene suonato indifferentemente dai bianchi, influenzati senz'altro dalle atmosfere dei musicisti di colore, e dai neri, che già incidono dappertutto pezzi basati sulla ritmica scarna, essenziale e metallica del banjo e sulla base del violino, trattato come cantante a fianco del folk singer. Arriviamo agli anni venti del secolo scorso: il primo bluesman con il banjo è Gus Cannon, del Kentucky. Egli tratta il banjo come i Griots, ma in più arpeggia e canta strofe, ormai possiamo dirlo, tipicamente blues. Ora le case discografiche iniziano ad immortalare il blues.
Occorre ascoltare Robert Cray, per "sentire" blues. Ciao.

giovedì 23 febbraio 2012

Blues: l'avventura continua.

L'idea che il primo strumento che accompagnò strofe di blues fosse un antenato del banjo piuttosto che sistema di percussioni, come è più semplice immaginare per il luogo dove nacque il genere, rende tutto un pò latino, nello spirito. Occorreva comunque percuotere le corde per ascoltare un suono rauco e non armonico, ma quello che contava era la voce del cantante.
Dalla fine del 1600 alla metà del 1800 il balam subì un'evoluzione che comportò l'adozione di una cassa circolare in legno ed il manico piatto; si iniziarono ad usare sistemi di metallo per fissare le corde e tenderle (i bischeri). Il primo musicista di cui si ha memoria fu "Picayune" Butler. In quel periodo si ha notizia della prima banda di musicisti con il volto dipinto di nero, che si esibiva in un spettacolo detto "minstrel". Straordinario e feroce insieme il minstrel: compagnie di musicisti in maggioranza bianchi, che in Virginia si esibivano imitando, in modo quantomeno "canzonatorio", i neri. Il razzismo attinge alle risorse dei più deboli e le mortifica, per giustificarsi.
Alla prossima.

mercoledì 22 febbraio 2012

Noi che abbiamo bisogno del Blues.

Non sono le nostre radici e mai lo saranno, le storie del blues. Ma la difficoltà e la sofferenza tradotte in musica sono affari nostri.
Il grande Son House, intorno al 1965, diceva che quando era ragazzino, nelle campagne dove abitava, non faceva altro che cantare; meglio, gridava a tutti quello che stava succedendo il quel momento. Il blues, per come lo conosciamo, nacque allora.
Ma House aveva avuto dei precursori lontanissimi. Lungo il fiume Gambia, nell'Africa del Sud, un "Griot", sorta di cantante tribale, con uno strano strumento di corde fatto in casa, raccontava di un re locale con versi sussurrati e accompagnati dallo strumento. Oggi mancano i cantastorie, nella nostra realtà periferica e lasciando il blues per un momento, è stato forse Rino Gaetano il poeta più vicino alla realtà che la nostra terra abbia espresso.
Ma lo strumento, che meraviglia: una zucca essiccata al sole con cinque corde derivate da filo di lenza di plastica. Un ponte di legno, pelle di capra che copriva il vuoto creato nella zucca, la quinta corda più corta perchè fosse più alta di tono. Nella lingua del Griot era il "balam". Nella lingua dei musicisti che lo portarono negli Stati Uniti diventò banjo.
A domani, devoti del blues.