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martedì 5 marzo 2019

Cittadinanza.


La cittadinanza è l'appartenenza di una persona a uno Stato, ci hanno insegnato. Sto costatando in questi anni che essa delimita il confine tra il “cittadino” o la persona che non la detiene o si trova in condizione diversa. La cittadinanza si dovrebbe, a detta di conoscenti e amici in numero sufficiente per discutere sulla questione, “meritare”, con la partecipazione alla realizzazione e al mantenimento di un patrimonio sociale comune. Già questa regola, semplice e aperta, tiene insieme a fatica la società sul tema.
Secondo uno schema un po’ noioso, per godere della cittadinanza bisogna essere liberi, bisogna poter votare i propri rappresentanti, avere anche gli strumenti e i mezzi per partecipare alla vita sociale da persona civile e consapevole.
La cittadinanza “per meriti acquisiti dalla nascita” viene oggi riscoperta e rivendicata probabilmente per il clima politico e culturale di questi anni, con lo stato sociale in forte declino e il collasso dei motivi che “costringevano” i cittadini al mutuo aiuto, inteso come valore sociale.
Ora invece vengono confrontati i “diritti del cittadino” con i “diritti dell’uomo”, mettendo in conflitto due diversi aspetti che per complessità, ma anche per umanità, dovrebbero avvalersi di due piani di comprensione e elaborazione diversi. Le richieste di pari dignità di tutti i presenti nello stesso momento sul territorio italiano vengono così facilmente divisi tra coloro che avendo cittadinanza possono esigere a squarciagola i diritti che ritengono negati e chi non ha cittadinanza “regolare”, che può essere trattato come indesiderato e deve relegato alla fine della lunga coda in attesa. La fila comprende anche i diseredati italiani, inascoltati sempre.
Risolvere i problemi della convivenza civile in Italia con la sola versione dei “diritti del cittadino” sembra troppo semplicistico. La libertà di cui una persona può godere in uno Stato, soprattutto se l’esigenza riguarda un periodo limitato e si trova in condizioni di lavoro precario o di richiesta di asilo politico, non dovrebbe essere in discussione. La separazione degli individui tra chi è “cittadino” e chi ha uno status diverso contribuisce a disegnare una società divisa, non inclusiva e non capace di dare responsabilità autentiche ai governanti di turno sulle diseguaglianze praticate a fini elettorali. E si realizza la categoria degli emarginati, che mai riusciranno a “essere degni” di essere italiani completamente.
Sembra anche che l’appartenenza a una data parte politica dia al cittadino più possibilità di ottenere diritti sociali esclusivi basati sul diritto di cittadinanza. Come se taluni partiti nati, cresciuti e pasciuti intorno al contrasto dell’ospitalità e alla pratica odiosa della rivalità tra persone residenti nello stesso Stato, avessero più titoli per portare il vessillo dell’italianità. Questa cosa molto strana e provinciale è snobbata da molti intellettuali come teoria da bar, mentre è la mancanza di autorevolezza della classe politica, aiutata dagli slogan di nuovi movimenti falsamente populisti, a scatenare e fomentare forme di intolleranza anche tra italiani.
Se l’uguaglianza ha un senso, sostenere l'individuo significa guardare all'ordine politico dal basso verso l'alto, a partire dal soggetto. Significa anche fare del soggetto un problema risolvibile.
Si sta rendendo cronica la condizione precaria di molte persone in Italia. A chi serve questo modo di “non gestire” i fenomeni sociali? Una risposta l’avrei e in fondo anche molti altri intorno a me. E’ anche vero che avvertire il senso di disagio non aiuta se non è seguito dal consenso necessario per provocare cambiamenti nelle politiche. In questa lunga fase “precaria” non si vedono sviluppi positivi in questo senso.
Ed ecco le annunciate espulsioni nei confronti di chi in Italia è ospite “non gradito” e contratti di precariato per chi non è raccomandato, non ha studiato, non ha denaro per comprare titoli di studio, ha opinione politica diversa dagli urlatori al governo. Sempre espulsioni sono.
La cittadinanza è un concetto parziale che ha risvolti anche geografici. L’appartenenza a territori periferici come i Sud del nostro Paese mette gli italiani in condizioni di svantaggio rispetto alle aree geografiche del Nord. E questo a prescindere dall’”onestà”, dalla preparazione scolastica, dai titoli, dalla normalità delle aspettative di una famiglia “normale”.
L’uguaglianza non si realizza, in Italia, neanche rispetto al genere: le donne sono retribuite meno degli uomini, a prescindere dal ruolo ricoperto nelle aziende pubbliche o private. Questa condizione, sempre presente nella nostra società, non è affrontata dai governi, semplicemente e drammaticamente. Se l’arretratezza culturale non consente di gestire le priorità a partire da queste evidenze possiamo dubitare fortemente che l’uguaglianza venga perseguita perché necessaria all’equilibrio sociale.
La cittadinanza dovrebbe avere un significato flessibile, adatto alle condizioni di movimento rapido e massiccio di persone che per gli interessi più diversi, economici e sociali, si spostano repentinamente anche nello stesso Stato. I governanti dovrebbero essere capaci di gestire questi movimenti con prospettive a lungo termine, fissando criteri rigidi quando non vengano rispettati i codici, ma assumendo decisioni che facilitino l’inclusione e lo scambio di benefici reciproci per i molti che cercano condizioni di uguaglianza. Gli amanti del concetto di Nazione potrebbero vantare il loro senso di generosità e lungimiranza nei confronti di persone ospiti del territorio italiano nel corso dei secoli che hanno finalmente raggiunto un equilibrio sociale e sarebbero in grado anche di insegnare ad altri come fare per sentirsi “cittadini” italiani.
E così la parola “cittadinanza” viene anche utilizzata di volta in volta come un indicatore delle condizioni di vita dei cittadini o come identità sociale e politica, finendo per avere anche significato “etico” per chi si spinge oltre il confine del razzismo.
Ma la cittadinanza si esercita comunque, nelle attività quotidiane, nei problemi di sempre, nella ricerca di un modo di stare insieme nel modo meno peggiore possibile.