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giovedì 17 marzo 2016

Il nostro inquinamento.

Non ci sono molti argomenti per spingere i cittadini a destinare il proprio Si al referendum delle trivellazioni.Serve essere coscienti. Per noi gente di mare, di costa e mare aperto, lo sforzo è minore. Se la nostra risorsa è il mare vogliamo tutelarlo; se le nostre risorse fossero invece il petrolio o il gas, preferiremmo l’estrazione senz’altro, perché porterebbe ricchezza, sotto forma di royalties da distribuire in sconti sulla bollette elettriche. Ma è una favola terzomondista. Ricordo i lunghi minuti a cercare di smacchiarsi i piedi, le mani dal petrolio – o dagli scarti petroliferi, meglio – in spiaggia, da giovani, con le pietre calde, quando il nostro litorale era destinatario del prodotto greggio o esausto, per lunghi chilometri. Ricordo bene i lamenti, i tentativi di reazione contro chi lavava (si dice), le cisterne delle navi al largo e per chilometri si spiaggiavno grumi di idrocarburi che ci facevano passare la voglia di stare al mare; intuivamo anche la pericolosità dei comportamenti contro l’anbiente, ma senza maturare consapevolezza. Anzi tendevamo a nascondere l’inquinamento. Ricordo anche di tentativi giudiziari andati archiviati. Non è il caso di fare terrorismo ambientale. Basta essere realisti e convincersi che un problema si crea quando si forza la mano. Una risorsa non è naturale perché la estraiamo cercando di evitare incidenti. Quanti casi sono accaduti, molto gravi e in luoghi diversi? Siamo deboli e nella debolezza delle risposte – il Partito di maggioranza relativa, è notizia di oggi, decide di andare al mare il 17 Aprile, piuttosto che votare SI – si prendono iniziative irrazionali, disperate. Per poche settimane di autosufficienza, siamo disposti a Grippare l’Italia, meglio la nostra parte, più lontana e silenziosa, passiva, arrendevole e venduta.