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Politica. Meridionalismo. Blues.

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lunedì 27 aprile 2020

La politica di oggi è pura reazione.


La politica di oggi è pura reazione. Reazione immediata o tardiva agli eventi, ma mai azione preventiva in senso stretto. Non mischiamo le carte, però: la reazione politica al contagio COVID-19 non può nei fatti essere, per quanto è consentito capire, preventiva oltre poche ore, pochi giorni da oggi. Così sarà per diverso tempo, dicono. Ma la reazione politica è sul presente: ad ogni azione dei governanti corrisponde una reazione, quasi mai assertiva, delle opposizioni. Queste sono scagliate 24 ore al giorno contro ogni decisione che provenga dall’avversario politico, non considerato mai amministratore temporaneo democraticamente eletto che ha bisogno, anche lui, si, di una condivisione delle responsabilità nei confronti della pandemia. Questa può colpire tutti, senza riguardo. In alcune zone del Paese di più, in altre, per ragioni che metterle insieme richiede una task force apposita (un’altra!), di meno, molto meno.
Le disuguaglianze restano lì, l’occasione di una revisione della società c’è ma manca, pare, la maturità della partecipazione al lutto e la conseguente maturità della consapevolezza.
Non si dovrebbe tornare alle stesse manchevolezze di ieri, di quando non c’era il virus. Ma ci sono segnali che portano dritti al desiderio di normalità, la solita normalità diversa in ogni angolo d’Italia, che almeno pone le difficoltà, dubbi e rimedi immediati di sempre, quelli che conosciamo bene. Quelle che servono alle forze politiche per alimentare la concorrenza sul voto e non sui risultati proposti e ottenuti.
E invece dovremmo darci l’opportunità che diamo ai figli. Finanziamo tutto, in ogni modo, vogliamo che abbiano un’opportunità che sia una. A volte riusciamo, a volte no, ma ci proviamo sempre. Il passo successivo è riservato agli illusi, sembra: bisogna difendersi dai furbi, dai sempre presenti potenti avidi, dal furtarello facile fino al furto generazionale. Dallo sfruttamento a ogni passo lavorativo, delle banche e della finanza nazionale e internazionale. Cioè, ci sono troppi sfruttatori pronti a sopraffarci e la risposta è la difesa senza concessioni alla rivoluzione possibile, quella bianca.
C’è proprio bisogno di fidarsi dei fornitori e dei clienti. Si devono trattare bene, se si può. La identica cura che si rivolge a chi dà la possibilità di vivere dovremmo rivolgerla al contenitore di queste persone, il Paese che ci fornisce la chimica e la poesia del vivere quotidiano e lo stesso Paese a cui diamo un motivo per continuare a esistere. Ma lo stiamo maltrattando selvaggiamente. Lo derubiamo, lo scassiamo, lo inondiamo di luci e sostanze tossiche. E pretendiamo da lui aria sempre pulita. A questo proposito, non può sfuggire che l’adattamento dei protagonisti di questa forma di civiltà prevede che un po’ possiamo intossicarci, per vivere in modo più ricco, per produrre e consumare in allegria. Non può funzionare sempre così. La responsabilità è generale, la preoccupazione è soggettiva: si va avanti finché le emergenze ci soffocheranno, finché il baratro sarà ad un passo.
La sempre benedetta classe dirigente ha bisogno di essere rivoluzionata. Deve essere sostituita da persone con mentalità rispettose e fornitori di prassi democratiche generalizzate. Anche, il modo di porsi davanti o dietro le immense problematiche deve essere diverso. Questo lo capiamo, ma forse mancano le donne e gli uomini disposti ad essere diversi, innovatori e non conservatori. Forse.
La baracca ha un costo. La casa ha un costo, come la villa. E via discorrendo, in un crescendo che non vede fine mentre la proporzionalità delle tasse, dovute alla comunità e allo Stato che deve ridistribuire oltre che stampare danaro e dare servizi, è evasa, elusa. Il furto dell’ambiente sano, della società sana e dei servizi egualitari è così compiuto.
L’obiettivo dovrebbe essere: pagare tutti, pagare meno. Tasse, si intende. In modo progressivo, in modo che consentano la corretta dose di benessere agli Italiani, il merito e l’uguaglianza nelle opportunità soprattutto.
Date uno sguardo disinteressato. Meglio, se interessato. Ne dovremmo parlare.
Facebook e Twitter: @CostadeiGelsomini

domenica 5 aprile 2020

Crisi della sovranità.

Da semplice cittadino, con la certezza di riuscire solo a delineare i confini delle mie speranze su come finirà questo periodo inedito della vita, avverto la mancanza di autorevolezza dello Stato, attraverso gli atti e le restrizioni a cui si è sottoposti, alle troppe fonti che suggeriscono e che impongono a cittadini di diverse Regioni italiane comportamenti discordanti tra loro. Comportamenti che provocano “strane” reazioni e, quel che più conta, risultati non coerenti con le attese e a quanto pare anche dannosi negli effetti.
La sovranità dello Stato, questo mi pare, è messa in forse. E’ sotto stress. Questa sensazione di cittadino solo un po’ consapevole è una montagna che ha due versanti, che pratico con forti difficoltà, sicuramente con parole non sempre azzeccate, dovute alla mia visione dello Stato, non giuridica, fatta di sensazioni, come ho scritto prima: uno è il rapporto tra lo Stato e le Regioni, l'altro il rapporto tra Stati in Europa.
Nel primo caso manca, ripeto, secondo me, la capacità dello Stato di porsi come unica sede istituzionale che disciplina le parti sociali. Le Autonomie Regionali, ma anche la prerogativa in ambito sanitario che esse possano organizzare ed erogare il diritto stabilito dall’art. 32 della Costituzione, non stanno funzionando. Le Regioni lamentano la scarsa efficacia dello Stato quando non sono in grado di risolvere l’emergenza da soli, lo Stato non può e non riesce ad essere egualitario nei servizi sull’intero territorio nazionale. In ogni caso, il territorio italiano sembra uno Stato Federale, tante sono le decisioni in campo e molte opposte fra loro. E’ come se ogni Regione volesse ribadire la propria “indipendenza” e “autonomia” economica, sociale, finanziaria e anche scientifica dalle altre. Con tonfi clamorosi, che riguardano l’autorevolezza e la presunzione degli autori delle decisioni, tutte giocate sulle vite degli italiani.
Per quanto riguarda il secondo versante, invece, è certo che alcuni Stati abbiano rinunciato a qualche aspetto della loro sovranità. L'Unione Europea è sede delle contraddizioni che ne risultano. Una unione finanziaria, una unione non completa, di cui gli Stati europei non decidono il destino diverso che vorremmo tutti e che neanche in questo caso riesce ad essere autorevole se non dopo estenuanti richiami ad una utopistica “indole” europea dei cittadini continentali.
Mi resta un altro pensiero e poi prometto di non scrivere altro, in merito: nel mezzo di questo cammino, penso quello che deve rimanere da questa esperienza comune e insieme solitaria, sono le vite delle persone, non il consenso per governare il caos ancora per qualche anno. Bisognerà decidersi a scegliere e io credo di averlo fatto. Intanto faccio il mio dovere. Speriamo, bene. Anche se occorre la ben nota massa critica, per muovere le montagne.