La
politica di oggi è pura reazione. Reazione immediata o tardiva agli eventi, ma
mai azione preventiva in senso stretto. Non mischiamo le carte, però: la reazione
politica al contagio COVID-19 non può nei fatti essere, per quanto è consentito
capire, preventiva oltre poche ore, pochi giorni da oggi. Così sarà per diverso
tempo, dicono. Ma la reazione politica è sul presente: ad ogni azione dei governanti
corrisponde una reazione, quasi mai assertiva, delle opposizioni. Queste sono
scagliate 24 ore al giorno contro ogni decisione che provenga dall’avversario
politico, non considerato mai amministratore temporaneo democraticamente eletto
che ha bisogno, anche lui, si, di una condivisione delle responsabilità nei
confronti della pandemia. Questa può colpire tutti, senza riguardo. In alcune zone
del Paese di più, in altre, per ragioni che metterle insieme richiede una task
force apposita (un’altra!), di meno, molto meno.
Le
disuguaglianze restano lì, l’occasione di una revisione della società c’è ma
manca, pare, la maturità della partecipazione al lutto e la conseguente
maturità della consapevolezza.
Non
si dovrebbe tornare alle stesse manchevolezze di ieri, di quando non c’era il
virus. Ma ci sono segnali che portano dritti al desiderio di normalità, la
solita normalità diversa in ogni angolo d’Italia, che almeno pone le difficoltà,
dubbi e rimedi immediati di sempre, quelli che conosciamo bene. Quelle che
servono alle forze politiche per alimentare la concorrenza sul voto e non sui
risultati proposti e ottenuti.
E
invece dovremmo darci l’opportunità che diamo ai figli. Finanziamo tutto, in
ogni modo, vogliamo che abbiano un’opportunità che sia una. A volte riusciamo,
a volte no, ma ci proviamo sempre. Il passo successivo è riservato agli illusi,
sembra: bisogna difendersi dai furbi, dai sempre presenti potenti avidi, dal
furtarello facile fino al furto generazionale. Dallo sfruttamento a ogni passo
lavorativo, delle banche e della finanza nazionale e internazionale. Cioè, ci
sono troppi sfruttatori pronti a sopraffarci e la risposta è la difesa senza
concessioni alla rivoluzione possibile, quella bianca.
C’è
proprio bisogno di fidarsi dei fornitori e dei clienti. Si devono trattare
bene, se si può. La identica cura che si rivolge a chi dà la possibilità di
vivere dovremmo rivolgerla al contenitore di queste persone, il Paese che ci
fornisce la chimica e la poesia del vivere quotidiano e lo stesso Paese a cui
diamo un motivo per continuare a esistere. Ma lo stiamo maltrattando
selvaggiamente. Lo derubiamo, lo scassiamo, lo inondiamo di luci e sostanze
tossiche. E pretendiamo da lui aria sempre pulita. A questo proposito, non può
sfuggire che l’adattamento dei protagonisti di questa forma di civiltà prevede
che un po’ possiamo intossicarci, per vivere in modo più ricco, per produrre e
consumare in allegria. Non può funzionare sempre così. La responsabilità è
generale, la preoccupazione è soggettiva: si va avanti finché le emergenze ci
soffocheranno, finché il baratro sarà ad un passo.
La
sempre benedetta classe dirigente ha bisogno di essere rivoluzionata. Deve
essere sostituita da persone con mentalità rispettose e fornitori di prassi
democratiche generalizzate. Anche, il modo di porsi davanti o dietro le immense
problematiche deve essere diverso. Questo lo capiamo, ma forse mancano le donne
e gli uomini disposti ad essere diversi, innovatori e non conservatori. Forse.
La
baracca ha un costo. La casa ha un costo, come la villa. E via discorrendo, in
un crescendo che non vede fine mentre la proporzionalità delle tasse, dovute
alla comunità e allo Stato che deve ridistribuire oltre che stampare danaro e
dare servizi, è evasa, elusa. Il furto dell’ambiente sano, della società sana e
dei servizi egualitari è così compiuto.
L’obiettivo
dovrebbe essere: pagare tutti, pagare meno. Tasse, si intende. In modo progressivo,
in modo che consentano la corretta dose di benessere agli Italiani, il merito e
l’uguaglianza nelle opportunità soprattutto.
Date
uno sguardo disinteressato. Meglio, se interessato. Ne dovremmo parlare.
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