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Politica. Meridionalismo. Blues.

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giovedì 23 agosto 2018

Delegittimando.


Da molti anni In Italia non si realizza il confronto politico tra le parte legittimate a governare. Il dissenso continuo, sempre necessario e democratico in una democrazia consolidata è degenerato in delegittimazione. E’ una contestazione al potere politico-economico-finanziario senza nessuna concessione parziale per provvedimenti governativi e legislativi più o meno condivisibili, sempre che ce ne siano stati con questa caratteristica. La perdita di autorevolezza della classe politica, dovuta a leggi elettorali non rappresentative della popolazione ma solo delle segreterie e di improbabili politici portavoti d’occasione più la netta convinzione dei cittadini che i partiti siano diventati esecutori di volontà sovrannazionali, hanno aperto la strada alla delegittimazione come strumento di persuasione elettorale.
Il confronto serrato durato qualche giorno tra M5S e Lega per la formazione di una maggioranza parlamentare di sostegno all’attuale governo può essere definito un confronto “politico”, essendo i due organismi “politici” (la Lega, francamente, di antipolitico non ha nulla) accesi sostenitori dell’antipolitica? No, non si può, perché per stessa ammissione dei responsabili del “contratto” si opera perché “obbligati” dalle circostanze (io però riscontro quotidianamente convergenze sui provvedimenti che non avrei sospettato possibili), ricorrendo alla formula del “contratto di governo” per finalizzare l’azione ai punti frutto di mediazione.
Una soluzione che si presta a critiche fondate: è precaria; propone una serie di soluzioni, affrontate le quali tutte le emergenze dovranno essere ridiscusse; gli elettori non hanno di certo inteso premiare una coalizione con queste caratteristiche.
E quindi la delegittimazione è diventata prassi. Che sia l’avversario politico o il sistema, la delegittimazione opera trasformando l’obbiettivo in nemico: per esempio, l’ordine pubblico. Una delle parti accusa continuamente l’altra (o le altre) di esistere per “favorire” un “ordine fascista”; l’altra replica duramente che la prima si dedica alla creazione di un “ordine anarchico”. Sono condizioni e accuse estreme, da considerare estranee e nemiche della costituzione esistente. Si ricorre molto spesso all’attacco della inadeguatezza del “vecchio” sistema, che andrebbe riformato, aggiornato, modulato, comunque trasformato in nemico, che ha tradito i contenuti in termini di valori rispetto alle attese dei cittadini. E si ricorre costantemente all’appello di indispensabili riforme non più rinviabili.
La legittimazione esiste se si rinuncia alla delegittimazione. Così si può operare con una opposizione basata sulla contestazione dei provvedimenti, anche della inettitudine della classe dirigente se è il caso, restando in un clima di duro confronto politico senza per questo estremizzare la condizione di isteria perpetua in cui ci troviamo, senza che in realtà si sposti di un millimetro la condizione dei cittadini. Ma la ricerca disperata del consenso impedisce qualsiasi riflessione da democrazia compiuta e matura, non credo di scrivere un’eresia.
E’, quindi, una questione di qualità della proposta politica e di affidabilità degli uomini che si definiscono politici. Io elettore non trovo ricovero, in questa fase estrema, se non nella rinuncia al voto, nella rinuncia alla partecipazione al circo mediatico, per arrivare esausto all’astensione negli appuntamenti elettorali. Mi sembra che sia, tutto questo, l’interesse particolare delle persone che in questo momento storico si definiscono, arbitrariamente, politici. Non lo sono, sono terminali di lobbies economico-finanziarie, populisticamente parlando.

domenica 12 agosto 2018

Il Blues, musica politica anche negli anni ‘60.


L’America degli anni ’60 del secolo scorso era ancora notevolmente razzista. In quella realtà, guidata come sempre dagli interessi economici di pochi e la lotta quotidiana dei molti, il Blues era uno dei componenti della cultura controcorrente. Era un modo di affrontare le difficoltà della società multietnica; era la cultura alternativa, esotica e romantica. Era la voce di un popolo oppresso, incompreso e rifiutato. Era anche, forse per questo, una musica disinibita, senza le caratteristiche ipocrite che stavano dominando quella società. Era realista ed erotica. Per molti versi anticipava gli argomenti del movimento femminista. Era cantato dai “fuori legge”, antieroi armati solo della loro chitarra. In quegli anni, lo stesso B.B. King, dopo aver acquistato un appartamento in una zona di bianchi, a Memphis, confessò di non poterci abitare perché se lo avesse fatto gli altri inquilini se ne sarebbero andati.
Il Blues era una dichiarazione di principi fuori dal sistema, una forma di lotta politica dei neri. Molto probabilmente tutto ciò era una percezione a cui bisognava necessariamente affezionarsi, un ulteriore modo di affrancarsi dei neri rispetto alla cultura musicale dei bianchi.
La società americana, strutturata rigidamente in modo razziale, divergeva anche sulla definizione culturale e sociale del blues: la società nera privilegiava la discussione sull’aspetto sociale e la rilevanza contemporanea del blues; i bianchi si concentravano soprattutto sull’aspetto estetico, storico ed artistico.
E’ il caso di notare che i rapporti di forza si fondavano, anzi, si fondano ancora, sullo stato di bisogno, sulla necessità di emanciparsi da un lato, e sull’apprezzamento estetico ed artistico di un’arte, dall’altro. Non è cambiato praticamente niente, in cinquant’anni.

Vi propongo un bluesman politico che si ascolta molto raramente, J. B. Lenoir. Inascoltabile in Patria, anche per motivi razziali.