Da molti anni In Italia non si realizza il confronto
politico tra le parte legittimate a governare. Il dissenso continuo, sempre
necessario e democratico in una democrazia consolidata è degenerato in delegittimazione.
E’ una contestazione al potere politico-economico-finanziario senza nessuna concessione
parziale per provvedimenti governativi e legislativi più o meno condivisibili,
sempre che ce ne siano stati con questa caratteristica. La perdita di autorevolezza
della classe politica, dovuta a leggi elettorali non rappresentative della popolazione
ma solo delle segreterie e di improbabili politici portavoti d’occasione più la
netta convinzione dei cittadini che i partiti siano diventati esecutori di volontà
sovrannazionali, hanno aperto la strada alla delegittimazione come strumento di
persuasione elettorale.
Il confronto serrato durato qualche giorno tra M5S e Lega
per la formazione di una maggioranza parlamentare di sostegno all’attuale
governo può essere definito un confronto “politico”, essendo i due organismi
“politici” (la Lega, francamente, di antipolitico non ha nulla) accesi
sostenitori dell’antipolitica? No, non si può, perché per stessa ammissione dei
responsabili del “contratto” si opera perché “obbligati” dalle circostanze (io però
riscontro quotidianamente convergenze sui provvedimenti che non avrei
sospettato possibili), ricorrendo alla formula del “contratto di governo” per finalizzare
l’azione ai punti frutto di mediazione.
Una soluzione che si presta a critiche fondate: è precaria;
propone una serie di soluzioni, affrontate le quali tutte le emergenze dovranno
essere ridiscusse; gli elettori non hanno di certo inteso premiare una
coalizione con queste caratteristiche.
E quindi la delegittimazione è
diventata prassi. Che sia l’avversario politico o il sistema, la delegittimazione
opera trasformando l’obbiettivo in nemico: per esempio, l’ordine pubblico. Una
delle parti accusa continuamente l’altra (o le altre) di esistere per
“favorire” un “ordine fascista”; l’altra replica duramente che la prima si dedica
alla creazione di un “ordine anarchico”. Sono condizioni e accuse estreme, da considerare
estranee e nemiche della costituzione esistente. Si ricorre molto spesso
all’attacco della inadeguatezza del “vecchio” sistema, che andrebbe riformato,
aggiornato, modulato, comunque trasformato in nemico, che ha tradito i contenuti
in termini di valori rispetto alle attese dei cittadini. E si ricorre
costantemente all’appello di indispensabili riforme non più rinviabili.
La legittimazione esiste se si
rinuncia alla delegittimazione. Così si può operare con una opposizione basata
sulla contestazione dei provvedimenti, anche della inettitudine della classe
dirigente se è il caso, restando in un clima di duro confronto politico senza
per questo estremizzare la condizione di isteria perpetua in cui ci troviamo,
senza che in realtà si sposti di un millimetro la condizione dei cittadini. Ma
la ricerca disperata del consenso impedisce qualsiasi riflessione da democrazia
compiuta e matura, non credo di scrivere un’eresia.
E’, quindi, una questione di
qualità della proposta politica e di affidabilità degli uomini che si definiscono
politici. Io elettore non trovo ricovero, in questa fase estrema, se non nella
rinuncia al voto, nella rinuncia alla partecipazione al circo mediatico, per
arrivare esausto all’astensione negli appuntamenti elettorali. Mi sembra che
sia, tutto questo, l’interesse particolare delle persone che in questo momento
storico si definiscono, arbitrariamente, politici. Non lo sono, sono terminali
di lobbies economico-finanziarie, populisticamente parlando.