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domenica 28 aprile 2019

John Mayall, il Blues inglese interpreta il Blues americano.


Il “selvatico” John Mayall, inglese per caso ma nero americano nell’anima, ha saputo mettere insieme l’espressività del suo linguaggio musicale con i messaggi che arrivavano dall’America dei maestri John Lee Hooker e Muddy Waters.
Il Blues americano arriva in Inghilterra alla fine degli anni cinquanta. Nell’isola felice della musica nascevano i Rolling Stones e i Beatles e il Blues poteva fare parte degli esperimenti riusciti della Londra musicale. Dopo un decennio di crescita John Mayall si trasferisce in America, dove inizia un tour perenne che lo consacra a leggenda del palco.
C’è una descrizione che spiega la follia musicale di Mayall: “Visse anche su un albero, aveva un aspetto da pazzo e suonava la chitarra, le tastiere, l’armonica e cantava”. Gli calzava benissimo e anzi, non faceva nulla per smentirla. Nel 1965 volle (!) Eric Clapton, che aveva lasciato The Yardbirds, nel suo gruppo. Questo momento della sua vita musicale spiega il ruolo fondamentale nel Blues, ormai diventato genere intercontinentale praticato da musicisti fenomenali.
Musicista che cambiò molte volte la composizione dei suoi gruppi, per un periodo lungo non volle i fiati nelle sue composizioni. Alla fine aggiunse il sax e l’armonica, rimettendo in gioco sempre la propria posizione. Diceva che “ogni gruppo che suona con me arriva a un punto di serenità nel quale si permette il lusso di stonare. Se non c’è emozione nel suonare cambio tutto, la devo ritrovare”.
Frase fantastica, il rischio nella musica è pari al rischio nella vita. Solo che nella musica c’è più armonia, non vi pare?

E ora, il senso dell’udito può appagarsi: John Mayall e Eric Clapton in Hideaway. A Londra, nel 2003.

domenica 14 aprile 2019

La credibile giornata di Vittorio.


L’intera notte trascorse nel silenzio. La casa di Vittorio, immersa al centro del paese tra le case uguali e taciturne era protetta dal vento e dal traffico anche durante il giorno, figurarsi la notte.
La vecchia sveglia elettronica si produsse nello sforzo ripetitivo giornaliero, con l’effetto di attirarsi addosso la pesante mano di Vittorio che la zittì quasi subito. Le sette. Sulla sveglia cadde anche la luce del lume, tenue e calda, sufficiente a illuminare la stanza quanto bastava per impedire a Vittorio di incespicare sulle inevitabili pantofole, sui calzini abbandonati, sugli spigoli del letto.
Alle otto era pronto per affrontare la giornata. Il suo lavoro consisteva nel cercare di vendere prodotti ai pochi punti vendita di pertinenza. Lo faceva con difficoltà, in un territorio povero di risorse economiche.
La sua auto era sempre al suo posto, i controlli delle telecamere rionali erano efficienti e garantivano la sicurezza dal furto dei beni mobili. Vittorio si sentiva rassicurato e poteva sorridere alle rare persone che gli si presentavano davanti durante il percorso di avvicinamento all’automobile, che occupava il posto riservato agli abitanti indigeni in regola con il pagamento delle imposte locali. Quello strano bollino riflettente sistemato sul cruscotto, visibile dalle Ronde Italiane in qualsiasi condizione di tempo e a qualsiasi orario, era diventato uno degli undici “Marchi di Sicurezza Abitativa” a cui ogni abitante doveva aspirare per ottenere la pace con il fisco e le autorità democraticamente nominate dal “Centro per il Reclutamento delle Risorse Umane Locali”, gestito dalla delegazione compartimentale dei “Nominati dello Stato per il Buon Andamento della Vita”.
Lo speciale bottone catarifrangente posto sul mento era a posto, pensò con legittimo orgoglio. Si rese conto di sorridere al pensiero che avrebbe incontrato da lì a poco la sua metà, che sarebbe uscita dalla sua casa con il solito modo di incedere calmo ma deciso. Il “Centro di Alloggiamento delle Spose Regolari”, gestito da persone direttamente dipendenti dal “Governo della Città Metropolitana” era efficiente e garantiva l’integrità delle Donne della Patria in qualunque fase della loro vita. Dopo avere consapevolmente generato i tre figli prescritti dalla “Commissione per la Pari Genitorialità e Crescita Demografica” il trascorrere della vita delle mogli era tranquillo, privo di sorprese economiche, abitative e affettive. Bene, pensò Vittorio, Locridea sarà felice di questo altro incontro, previsto nella “Tabella Periodica degli Affetti” e rispettata dalla coppia in modo tassativo. Questo garantiva il raggiungimento della “Quota Feriale di Cittadinanza”, quei quindici giorni di vita dissoluta da trascorrere in una delle isole siciliane destinate ad ospitare gratuitamente gli aventi diritto. Una fatica immensa, raggiungere quell’obbiettivo: in Italia, durante quel 2045, solo 120 coppie erano riuscite ad aggiudicarsi l’ambito premio. Un premio sponsorizzato dal “Partito del Governo Italiano”, che faceva fronte a questo tipo di spese, come alle molte altre “Spese del Benessere del Popolo”, attingendo dai beni requisiti ai giudicati a titolo definitivo dai “Tribunali del Popolo Sovrano”.
Non sfuggiva alle ottiche sempre attente dei controllori della “Pace Sociale”, corpo di polizia dedicato al Sud, la pulizia delle strade cittadine, l’ordine dei parcheggi e la cordialità tra i residenti del paese.
Molti apprezzamenti sulle pagine del “Giornale della Verità”, periodico mensile gratuito edito dal “Comando Locale dell’Editoria Garantita” aveva raccolto l’iniziativa governativa sulla gestione dei residenti non indigeni in quel luogo. Il pacchetto di norme sull’Ospitalità Condizionata era completo, tassativo e ricco di spunti anche per i governi dei Paesi confinanti con l’Italia e appartenenti all’Europa del Popolo Sovrano. Il pacchetto prevedeva infatti che ogni cittadino non indigeno proveniente da Paesi non europei cercasse in tutti modi, autofinanziandosi con le ricorse disponibili personalmente pena l’espulsione dall’Italia, di rendersi simile ai paesani. Nei modi, nelle abitudini, nella pratica della “Religione Autorizzata Governativa”. In cambio, oltre alla cessione del 50% del reddito proveniente dal lavoro autorizzato dalla “Commissione per l’Accertamento dei Requisiti dell’Italianità”, gli ospiti erano tenuti ad esprimersi in un italiano fluente con accento del dialetto locale e dovevano indossare, come gli italiani indigeni ma con maggiore evidenza, un bottone stroboscopico adesivo applicato sul mento. L’applicazione del bottone era si un po’ dolorosa, ma era un procedimento definitivo che consentiva, mediante l’uso di appositi rilevatori, di verificare anche le condizioni psichiche della persona, oltre allo stato dei pagamenti delle tasse dovute in quello specifico momento.
Uno degli impegni più gravosi era la raccolta differenziata dei rifiuti, da qualche anno definiti per legge “oggetti utili al riutilizzo”, che dovevano essere prodotti dai nuclei familiari, anche se domiciliati in luoghi diversi, in una quantità precisa, definita dal lavoro svolto dal capofamiglia, dall’età e dal peso della moglie, dalla capacità dei figli di essere istruiti anche senza l’obbligo scolastico.
La scuola era infatti riservata ai figli dei dissidenti e ai ragazzi incapaci di autoistruirsi, secondo il facile manuale dei “Giovani Guardiani del Genio Italico”. Le lauree erano uno sbiadito ricordo, relegate negli ampi corridoi degli Ospedali Civili di zona, sostituiti da robot guidati dal “Centro Internet della Salute”, in grado di dare suggerimenti di automedicazione estratti a sorte dal web garantito dal governo.
La dieta alimentare era considerata sufficiente e gratificante se realizzata su indicazioni del “Centro Nazionale Sopravvivenza Macrobiotica del Popolo”. Essa era una sintesi considerata perfetta derivazione dall’alimentazione vegana, vegetariana, macrobiotica e fruttariana messe insieme. Ogni variante era soggetta a imposizione fiscale seguita dall’obbligo di assumere olio di ricino a ogni pasto in misura di 2 cucchiai pieni.
Ma che quiete, in questo paese. A volte Vittorio pensava di andare in pensione anticipatamente, sfruttando la “quota X”, sorteggio riservato ai migliori performer del voto on line sul piano nazionale dedicato alle elezioni dirette di I, II e III grado degli organi statali privilegiati.
Quel giorno pensò di rimandare quel pensiero, decise, alla fine, di interrompere l’incubo. La radiosveglia vera era sintonizzata male, c’era un neomelodico che gorgheggiava.
Male, Molto male, penso Vittorio, mi darò malato.