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Politica. Meridionalismo. Blues.

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mercoledì 25 ottobre 2017

Io tifo.



Sebbene sia tifoso di calcio, avverto dalle cronache sempre più dure e crude che è in atto una evoluzione del comportamento della tifoseria organizzata nelle medie e grandi città.
Così poco ospitali, le curve, da rendere difficile partecipare come spettatori paganti a partite di campionato di calcio attese e potenzialmente grandi spettacoli tecnici e atletici.
Perché l’estremismo politico si impossessa dei grandi spazi dei campi di calcio, se non per sfruttare l’eco enorme data dalla popolarità e dal numero degli utenti?
Identità e rappresentazione sociale sembrano copioni già scritti e replicati con costanza ossessiva: canti offensivi contro l’avversario, offese razziste, esibizione di forza, violenza.
I meccanismi legati alla legittimazione e alla capacità di aggregare consenso all’interno delle diverse curve del territorio nazionale sono consolidati e dimostrano che è avvenuta la presa di possesso dell’ambito calcistico reale, quello degli stadi. Pochissimo può servire la retorica del bel calcio e della funzione educativa dello sport: questi valori, presenti ma poco evidenziati, sono ignorati dall’informazione, come in gran parte della realtà esterna agli stadi del calcio.
Cosa rispondono gli ultras delle grandi squadre all’accusa di teppismo, razzismo e estremismo politico? Ciò che si legge pare un disco rotto: le azioni violente sarebbero meno gravi di quello che sembra. L’idea di fondo è che i mass media, distorcendo e manipolando la realtà, avrebbero generato ed alimentato la creazione di stereotipi sul tifoso-violento-teppista e rafforzato la criminalizzazione diffusa e generalizzata nei suoi confronti, conducendo l’opinione pubblica verso una enfatizzazione del fenomeno in questione.
In questi termini la rappresentazione dell’Ultras violento e teppista risulta essere conseguenza della costruzione sociale che ne viene fatta di volta in volta, episodio dopo episodio.
Il calcio risente delle influenze politiche, economiche e sociali. Deriva da qui, forse, la composizione di una tifoseria con leadership politica, con ideologismi di posizione estremista. Anche gli Ultras si sono canalizzati verso un ideale politico.
Il tifoso vero, però, è altro: soffre, vince con la squadra, perde con la stessa squadra. La parte deviata degli Ultras sta costringendo le persone normali ad assistere da lontano ad uno spettacolo bellissimo.

domenica 15 ottobre 2017

Storie di creazione di consenso.



L’inizio dell’impegno in ambito pubblico in grandi partiti è per forza di cose da timorati. Piccole riunioni, frasi dette a metà, scelta del leader momentaneo, scelta della corrente più forte da seguire.
Mano a mano che il tempo passa e si dimostra di essere affidabili, persone si affiancano, si toccano temi e argomenti più impegnativi, si prova a ricoprire ruoli più consoni al titolo di studio che si possiede o all’attività lavorativa che si svolge. L’organizzazione politica che ospita dà spazio e lascia fare.
Normalmente all’inizio si appoggiano esigenze di fasce di popolazione in difficoltà: in fondo il succo della partecipazione alla vita di società deriva da nobili motivazioni. Giustifica l’impegno e responsabilizza.
Se tutto prosegue secondo piani più o meno prestabiliti – le variabili sono innumerevoli – alla funzione di attivista subentra quella di coordinamento di un gruppo più o meno numeroso, che arriva a essere interessante politicamente. Ciò deriva da indubbie qualità personali dei componenti, da radicate convinzioni motivazionali, da un opportuno carattere coinvolgente e non prevaricante di chi coordina.
Maturano i primi obbiettivi. Cosa se ne fanno di questa forza i gruppi così costituiti? Dove concentrano la loro azione di impatto sociale, di esercizio della coesione delle idee e delle persone coinvolte? Qui si arriva ad un bivio decisivo per le sorti del gruppo così faticosamente costituito: continuare, migliorando le conoscenze e le attitudini fino a farle diventare sistema operativo specializzato o cambiare target di riferimento e tentare la scalata sociale verso traguardi sostanzialmente diversi da quelli di partenza?
Qui si capisce chiaramente, si delinea, finalmente, il progetto iniziale del gruppo: quali fossero le reali intenzioni di persone che, partendo dalla condivisione di problematiche sociali urgenti, enormi e non sostituibili con altro, attraccano in porti esclusivi, poco numerosi ma con disponibilità economiche e di prestigio ingenti, non paragonabili a quelle offerte dal punto di partenza. Un doping del futuro consenso, che permetterà di chiedere comunque sostegno alle classi in difficoltà e che si avvarrà del prestigio di ambiti ristretti e molto, molto esclusivi.
Sono le ambizioni di questo tipo, per nulla legittime, che sfasciano irrimediabilmente la capacità della politica di risolvere i problemi partendo dal basso. L’ascensore sociale a gettoni.

giovedì 5 ottobre 2017

Niente di nuovo sul fronte occidentale.

…Non si può comprendere come sopra corpi così orribilmente lacerati siano ancora volti umani, sui quali la vita continua nel suo ritmo giornaliero. E pensare che questo è un ospedale solo: e ve ne sono centinaia, migliaia uguali, in Germania, in Francia, in Russia! Come appare assurdo tutto quanto è stato in ogni tempo scritto, fatto, pensato, se una cosa simile è ancora possibile! Dev’essere tutto menzognero e inconsistente, se migliaia d’anni di civiltà non sono nemmeno riusciti ad impedire che questi fiumi di sangue scorrano, che queste prigioni di tortura esistano a migliaia. Soltanto l’ospedale mostra che cosa è la guerra. Io sono giovane, ho vent’anni: ma della vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore, e la insensata superficialità congiunta con un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l’uno verso l’altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedi i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo. E con me lo vedono tutti gli altri uomini della mia età, da questa parte e da quell’altra del fronte, in tutto il mondo; lo vede e lo vive la mia generazione. Che faranno i nostri padri, quando un giorno sorgeremo e andremo davanti a loro a chieder conto? Che aspettano essi da noi, quando verrà il tempo in cui non vi sarà guerra? Per anni e anni la nostra occupazione è stata di uccidere, è stata la nostra prima professione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà , dopo? Che sarà di noi?...

Erich Maria Remarque – Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Alla domanda posta da Paolo, soldato tedesco protagonista del clamoroso libro di Remarque, vera guida del pacifismo, ambientato nella Prima Guerra Mondiale, io non sono in grado di rispondere. Però sono in grado di leggere e sono incapace di ignorare alcune sollecitazioni. A questa non si può sottrarre nessuno, neanche volendo.