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domenica 15 agosto 2021

Ragioni da accumulare, in batterie più democratiche.

Traggo spunto da un articolo letto recentemente su Ossigeno (@Ossigenopeople), la rivista ambientalista oltre che politica edita da People (@Peoplepubit), dal nome potente e comunque pessimista in modo costruttivo.

Nel quarto numero, Davide Serafin dimostra come la questione delicata della conversione ecologica, in un turbinio di confusione letterale - che sta passando anche attraverso la pubblicità continua sulle auto a trazione elettrica sia controversa quanto controproducente per i Paesi che non si preparano per tempo alla conversione. La strada intrapresa appare frutto di una serie di indicazioni irrinunciabili dell'industria teorica, quella della ingegnerizzazione dei manufatti senza il confronto con le strutture produttive dei singoli Paesi.

Quando nell'articolo leggo che le materie prime per le auto elettriche sono prodotte in Asia per quanto riguarda l'elettronica e che il Litio, minerale indispensabile per la fabbricazione delle batterie viene estratto soprattutto in Cile (8 mln. di tonnellate), in Australia (2,7 mln. di tonnellate), in Argentina (2 mln. di tonnellate) l'orizzonte si oscura. In Europa si produce un po' in Portogallo e diverse sono anche le tecniche estrattive del prezioso minerale, con inquinamento possibile di falde e compromissione possibile dell'agricoltura.

In Italia c'è un organismo, creato con una lungimiranza insolita, la Italian Battery Alliance, avviata dal Ministero dello Sviluppo Economico per fare ricerca su nuovi tipi di batterie meno impattanti. Vincerebbe la ricerca, come sempre.

Intanto che ci auguriamo che l'Italia preceda e non segua come al solito l'industria estera, resta il mancato adeguamento delle strutture industriali in dotazione di ogni Stato. Perchè ci sarebbero perdita di occupazione e affannosa ricerca di figure specializzate in fabbriche automatizzate fino all'estremo.

E qui vedo il Sud sprofondare in una battaglia conservatrice a favore dei carburanti fossili, per mantenere una forza lavoro che non sarà messa nelle condizioni di qualificarsi, nei pochi impianti industriali produttivi nel settore. Con tanti saluti da parte dei negazionisti del tutto - come adesso e come prima - dei conservatori e delle potenti industrie estrattive dei fossili.