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martedì 22 gennaio 2019

Effetto difesa.


Questo governo combatte l’oppressione dello Stato ingordo e deve mantenersi amico l’elettorato, lo deve proteggere o dimostrare di proteggerlo in ogni momento. Parte subito dopo in modo naturale la riconoscenza del “popolo” (tutti siamo popolo, ma il suo popolo è più popolo) che gli si stringe addosso e lo difende.
Solo che questo stato favorevole si può mantenere – e a questo punto andiamo sugli eroi al comando – se si dimostra in qualsiasi modo nobiltà d’animo, con un occhio di riguardo per i seguaci più affezionati e grande aggressività con gli oppositori.
Chiunque guasti questo equilibrio deve essere allontanato, rimosso con cinismo e rapidità, perché ciò che conta davvero è dimostrare efficienza nella difesa del popolo. Non mi stupisco affatto di questo, chiunque governi applica queste regole settarie e per niente democratiche. Lo scrivo perché non mi si opponga l’osservazione più gettonata degli ultimi anni: “e allora, il Pd?”
Fatto sta che tutti dimentichiamo rapidamente quali siano i mezzi utilizzati per raggiungere “l’effetto difesa”. Una dimostrazione lampante è il cinismo messo in campo con il rigetto sistematico del diverso. Un’operazione che avviene in modo così rapido da non essere registrato, da non venire definito inumano, quando, probabilmente, se ci fermassimo un solo momento con noi stessi, lo riconosceremmo come violento e non degno di una società cresciuta con “valori ecc. ecc.”. E il popolo – inutile tentare di verificarne le dimensioni, ha le caratteristiche di un gas, occupa tutto lo spazio disponibile - è contento che qualcuno rimuova ciò che lo impoverisce, sia vero o no.
A questa cosa abominevole, ma che frequentemente accade, si può rispondere solo tentando vie d’uscita “politiche”. Anche se la politica viene vista strumentalmente come eterea responsabile dei mali della società cinica ed egoista in cui viviamo, dimenticando altrettanto velocemente che la politica è una scienza e gli uomini che travisano il significato della sua esistenza sono troppi e colpevolmente prestati alla rappresentanza da un elettorato asservito e in sofferenza.
E quindi, quanto più sono disperate le condizioni in cui si vive, quando non c’è nulla da perdere, oltre la ragione bisogna mobilitare senza tentennamenti le persone che possono dettare un “manifesto politico”. Non c’è scelta diversa, le altre strade vanno in senso opposto alla democrazia. Se questa deve finire per mano del populismo che semplifica, come vediamo ogni giorno, meglio tentare, provando ad allontanare dalle proposte in campo i doppio e i terzogiochisti che intanto hanno capito come si lucra in politica, che si sta benissimo in sella cambiando opinione ogni volta che serve.
Francamente, io non vedo l’ora di valutare lo sforzo costruttivo di qualcuno, piuttosto che fare continue lotte che servono solo ai populisti e al loro popolo, perchè ci sono altri popoli in giro e in attesa.

venerdì 4 gennaio 2019

Tempi duri.


Immagino così lo stato d’animo di uno dei governanti di questi tempi dopo una vittoria elettorale. Cosa possa compiere, nella mente di un presunto onnipotente, smargiasso e arrogante, una vittoria di una competizione elettorale con una legge ridicola, piena di griffe usate come biglietti da visita.

-        - Era soddisfatto. Aveva svolto con successo un compito difficile ma infinitamente importante. Sapeva di aver meritato nuovi onori e ricompense: ma nulla poteva essere piacevole come quel senso di gratificazione che esaltava lo spirito. La sua opera superava ogni altra precedente. Aveva usato come materie prime una terra e un popolo. Il dio che riconosceva era di questo mondo: era il dio bifronte del potere e della maestria politica e lui ne era il profeta. L’opera era appena cominciata. Prima un comune, poi una provincia, poi una nazione. In nome del popolo, per la propria soddisfazione e un po’ per quella degli amici che lo avevano aiutato.

Modestia, disponibilità, autorevolezza, credibilità, visione politica con orizzonte vasto non servono. Serve invece imporre quello che sta dietro la facciata perbenista, accomodante quanto basta per attirare verso il proprio partito persone che hanno bisogno di sicurezze, le più diverse e tutte risolvibili, secondo questi maghi populisti, con misure restrittive da adottare su altre persone, che se costrette un passo verso l’ignoto lo compiono comunque. La libertà “sicura”, secondo questi “mastri d’ascia”, consisterebbe nella diminuzione della libertà di altre persone, nella diminuzione dei diritti, nella durezza di misure restrittive dirette verso i “clandestini”, nel controllo maggiore di parti di società non aderenti alla loro ideologia mascherata da qualunquismo.
Ordine e disciplina del popolo, per potere gestire con personale soddisfazione la transizione da uno Stato popolare, con una Costituzione superba, ad uno Stato a conduzione familistica, fondato su principi non universali, generati dalla necessità di controllare i cittadini dalla culla al voto. I clandestini sono coloro che approfittano dello Stato che li ospita, dell’organismo che li nutre, come i parassiti. Se così è, clandestini anche i politici che non rispettano la Costituzione.