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Politica. Meridionalismo. Blues.

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martedì 8 dicembre 2020

La prevalenza del soldino.

Saranno mesi gonfi di rabbia. Saranno mesi lunghi, i casualmente governanti daranno in pasto ai cittadini smarriti pezzi di carne rappresi, quasi ammuffiti, faranno discutere i cittadini perchè un indirizzo buono per le idee di Paese non c'è in nessuno di loro. Perlomeno chiaro. Seppure chiuso nella ideologia spacciata per visione ma presente e valutabile.

E no, si va per sigle. Digitale, per esempio. Digitale significa tutto e niente, per le conoscenze di cui dispongo e per quelle strane frasi sconnesse che sento sgorgare dai ministri, costretti a sintesi senza costrutto dall'informazione vorace, quella che vomita tutto il registrabile senza sedersi e fare sedere un minuto gli intervistati. Digitale, cosa? La TV?

Oppure ecosostenibilità, neologismo ambiguo e retrattile, che ti fa ritrarre come una tartaruga se pensi al Ponte sullo Stretto ecosostenibile. Che deve essere ecosostenibile, ma da cosa realmente? 

Faranno venire le vesciche sui tasti, nascere inimicizie e amicizie mentre loro si dovranno a cercare su google le frasi di circostanza per evitare finte crisi di governo multicolore. Diranno che dipende da ciò che chiede il Paese e sul Paese di rivarranno nel caso di successo o di insuccesso. In ogni caso di ricadute sull'intera società ne aspetterò diverse. Questa società degli amici - quelli che ti salvano perchè fai parte di una cerchia ristretta - chiusa ad altri per convenienza apparente, non darà spazio a chi vorrà dare idee di sviluppo generalizzato, ma andrà a tentoni, come fa la politica da ormai trent'anni. 
Chi è avanti con gli anni non si farà fregare, sa che molti soldi equivalgono a grandi furti. Accanto a quelli quotidiani, ci saranno quelli perenni. Di democrazia, rappresentanza, uguaglianza tra cittadini. Noi calabresi dovremmo saperlo bene. C'è un proverbio antico che dice: CU 'NDAVI AMMUCCIA, CU NON 'NDAVI MOSTRA!

Del fiume di denaro che serve a tutto, a qualsiasi cosa, a rinascite e a cose simili, si vedranno briciole. I centesimi della vergogna dialettica, dei 300 vecchi e deboli che devono decidere, perchè in Parlamento non riescono ad essere seri. Manco con i soldi a fondo perduto. Ah, ma sui prestiti, che rigidità...

venerdì 9 ottobre 2020

Che c'è di bello?

Non c'è che dire. Belli siamo belli. Anche antichi e però saggi non tanto, se in maggioranza si preferisce il tran tran quotidiano dell'elencazione delle mancanze sociali impossibili da risolvere in poco tempo.
Le attività produttive lecite della Costa dei Gelsomini sono, direi giustamente, in scala rispetto al numero degli abitanti. Sono espressione della piccolissima industria di trasformazione di materie prime comprate a fatica. Più forti nel commercio al dettaglio, con crisi evidentissima in questo tragico anno, anche qui, dove le tradizioni sono secolari e in ogni famiglia si possono elencare esempi di commercio all'ingrosso e al dettaglio che risalgono a fine 700 e 800, attraversano il 900 e generazioni successive si scontrano con tasse e balzelli che ora si sommano alle crisi in atto.
Non mi date troppo retta, non sono un docente di economia: ma un cittadino che vive qui con qualche esperienza in settori del commercio, si.
Il turismo, il turismo... Quanti equivoci per quanto riguarda le attività che ruotano dentro questo brand. La ristorazione è diffusissima, è sicuramente la voce economica più attiva e reattiva in questo cantone. Sulla capacità di adattamento degli operatori di questo specifico settore ci sarebbe solo da assimilare i sistemi di investimento e reinvestimento del capitale umano e dei saperi, sostenuti dalla presenza delle Scuole di settore in zona.
E però prevale la realtà quotidiana del disservizio. Contano poco le dotazioni culturali di fronte alla quotidianità arrangiata dei servizi pubblici, non sempre troppo pubblici, misti pubblico-privato, e privati e basta. Mentre i "privati dei servizi" sono gli abitanti di sta quarantina di Comuni, sciolti, riaddensati e poi risciolti in un andirivieni di cause, ricorsi, nomine e rinomine.
Guardate che il cittadino si è allontanato dal normale richiamo del voto per questo. Troppo sollecitato, cerca nella ritorsione verso i partiti e nel civismo formule più stabili di rappresentanza e tutela politica.
Ah, non c'è da temere. Ancora per qualche lustro la rivoluzione apparente detterà legge. Non si può sfuggire alle regole della rappresentanza politica: non ci si inventa e non si può pretendere di governare il villaggio senza una tradizione di specchiata devozione verso il concittadino. L'astio e la concorrenza in piena inimicizia ha portato a questi insuccessi sociali e le nuove generazioni di politici ambiziosi deve apprendere facendo esperienza, come è giusto che sia.
Non cambierà facilmente, la condizione di questo spettacolare posto. E le foto pubblicate di tramonti, albe, anfratti, panorami, architetture fisiche e intellettuali di questo angolo della Calabria non fanno che aumentare l'insoddisfazione per la non corrispondente "aderenza" della risposta umana, sociale e civile di quelli che stiamo qui, ora.
Coraggio, si vota.


mercoledì 22 luglio 2020

Un gruppo, fatevi un gruppo.

Gruppo. Fare gruppo è importante, per i giovani e per i meno giovani, per tutti. La parola deriva da "cruppa", la corda, il grosso cavo latino; richiama qualcosa che si tiene insieme per diversi motivi. Può sciogliersi o sopravvivere a sè stesso, con implicazioni che riguardano l'amicizia, gli interessi, gli scopi.
Quando è stato possibile, ho frequentato gruppi. Ora li osservo con curiosità, mi chiedo quali motivazioni diverse o uguali alle mie possano avere altre persone che fanno gruppo.
Suppongo sia il senso di appartenenza a qualche cosa che supera i singoli, il percepirsi come un "noi", che definisce i confini e i rapporti nel contesto sociale, ma anche la comunanza delle relazioni all'interno. Gruppo intorno a una persona, un'idea, all'affermazione di uno o più valori, a un compito specifico o soltanto dall'interesse a stare insieme.
Nella nostra rarefatta società a questa rappresentazione del gruppo viene attribuita una connotazione positiva, idealizzata; il gruppo diventa il luogo in cui, attraverso comunicazioni reciproche, (benedetta reciprocità) si realizza un'unità più o meno armonica, in cui ciascuno ha una partecipazione attiva. Ma la mia personale esperienza in merito non conferma l'immagine ottimistica e positiva del gruppo, se non nelle fasi di crescita, nella fase di entusiasmo e ottimismo. Poi si mettono piuttosto in luce dissimmetrie, divergenze, contrapposizioni e tensioni, anche aspre e dolorose. Ogni gruppo vive sentimenti ambivalenti, tra il desiderio di appartenere e darsi totalmente ai progetti e la spinta ad affermare e imporre i propri bisogni, la propria identità individuale, le vere aspettative, fino a quel punto taciute o messe in attesa. Sono pertanto in gioco intense emozioni e si ricorre alle rappresentazioni idealizzate per tenerle a bada. Qualcuno, questa cosa, la chiama socializzazione. Altri se ne servono.

giovedì 21 maggio 2020

Troppo nero, troppo vero.


Sam Lightnin’ Hopkins è uno dei miei preferiti. Bluesman viaggiatore senza soste, aveva il terrore dell’aereo. Per questo per moltissimi anni non si spostò dal Texas e Stati limitrofi. Eppure era richiesto, anche in Europa.
Denunciava le condizioni di vita dei neri degli anni delle prime lotte contro la segregazione. E temeva fortemente che nel vecchio continente non avrebbero capito i suoi argomenti.
La segregazione ha questo effetto nefasto, nelle sue vittime: tendono ad auto isolarsi, mentre intorno si fomenta l’odio razziale quotidianamente.
Quest’uomo sul palco si trasformava in un cronista prestato al Blues più nobile, quello fatto da conoscenza dello strumento e testi profondi, tristi, motivati da voglia di rivalsa civile e sociale.
La conoscenza dello strumento non è per Lightin’ tecnicismo. E’ conoscenza del ruolo delle sei corde nel Blues, le strofe pesanti come l’aria appestata del perbenismo, versi drammatici, crudi e radicali.
Creava, come i poeti, la miscela vera, vera anche nel Blues: realtà e poesia in musica.

Vi propongo uno dei suoi pezzi più intensi e conosciuti. Grande Sam.

Baby, Please Don’t Go.
 

lunedì 27 aprile 2020

La politica di oggi è pura reazione.


La politica di oggi è pura reazione. Reazione immediata o tardiva agli eventi, ma mai azione preventiva in senso stretto. Non mischiamo le carte, però: la reazione politica al contagio COVID-19 non può nei fatti essere, per quanto è consentito capire, preventiva oltre poche ore, pochi giorni da oggi. Così sarà per diverso tempo, dicono. Ma la reazione politica è sul presente: ad ogni azione dei governanti corrisponde una reazione, quasi mai assertiva, delle opposizioni. Queste sono scagliate 24 ore al giorno contro ogni decisione che provenga dall’avversario politico, non considerato mai amministratore temporaneo democraticamente eletto che ha bisogno, anche lui, si, di una condivisione delle responsabilità nei confronti della pandemia. Questa può colpire tutti, senza riguardo. In alcune zone del Paese di più, in altre, per ragioni che metterle insieme richiede una task force apposita (un’altra!), di meno, molto meno.
Le disuguaglianze restano lì, l’occasione di una revisione della società c’è ma manca, pare, la maturità della partecipazione al lutto e la conseguente maturità della consapevolezza.
Non si dovrebbe tornare alle stesse manchevolezze di ieri, di quando non c’era il virus. Ma ci sono segnali che portano dritti al desiderio di normalità, la solita normalità diversa in ogni angolo d’Italia, che almeno pone le difficoltà, dubbi e rimedi immediati di sempre, quelli che conosciamo bene. Quelle che servono alle forze politiche per alimentare la concorrenza sul voto e non sui risultati proposti e ottenuti.
E invece dovremmo darci l’opportunità che diamo ai figli. Finanziamo tutto, in ogni modo, vogliamo che abbiano un’opportunità che sia una. A volte riusciamo, a volte no, ma ci proviamo sempre. Il passo successivo è riservato agli illusi, sembra: bisogna difendersi dai furbi, dai sempre presenti potenti avidi, dal furtarello facile fino al furto generazionale. Dallo sfruttamento a ogni passo lavorativo, delle banche e della finanza nazionale e internazionale. Cioè, ci sono troppi sfruttatori pronti a sopraffarci e la risposta è la difesa senza concessioni alla rivoluzione possibile, quella bianca.
C’è proprio bisogno di fidarsi dei fornitori e dei clienti. Si devono trattare bene, se si può. La identica cura che si rivolge a chi dà la possibilità di vivere dovremmo rivolgerla al contenitore di queste persone, il Paese che ci fornisce la chimica e la poesia del vivere quotidiano e lo stesso Paese a cui diamo un motivo per continuare a esistere. Ma lo stiamo maltrattando selvaggiamente. Lo derubiamo, lo scassiamo, lo inondiamo di luci e sostanze tossiche. E pretendiamo da lui aria sempre pulita. A questo proposito, non può sfuggire che l’adattamento dei protagonisti di questa forma di civiltà prevede che un po’ possiamo intossicarci, per vivere in modo più ricco, per produrre e consumare in allegria. Non può funzionare sempre così. La responsabilità è generale, la preoccupazione è soggettiva: si va avanti finché le emergenze ci soffocheranno, finché il baratro sarà ad un passo.
La sempre benedetta classe dirigente ha bisogno di essere rivoluzionata. Deve essere sostituita da persone con mentalità rispettose e fornitori di prassi democratiche generalizzate. Anche, il modo di porsi davanti o dietro le immense problematiche deve essere diverso. Questo lo capiamo, ma forse mancano le donne e gli uomini disposti ad essere diversi, innovatori e non conservatori. Forse.
La baracca ha un costo. La casa ha un costo, come la villa. E via discorrendo, in un crescendo che non vede fine mentre la proporzionalità delle tasse, dovute alla comunità e allo Stato che deve ridistribuire oltre che stampare danaro e dare servizi, è evasa, elusa. Il furto dell’ambiente sano, della società sana e dei servizi egualitari è così compiuto.
L’obiettivo dovrebbe essere: pagare tutti, pagare meno. Tasse, si intende. In modo progressivo, in modo che consentano la corretta dose di benessere agli Italiani, il merito e l’uguaglianza nelle opportunità soprattutto.
Date uno sguardo disinteressato. Meglio, se interessato. Ne dovremmo parlare.
Facebook e Twitter: @CostadeiGelsomini

domenica 5 aprile 2020

Crisi della sovranità.

Da semplice cittadino, con la certezza di riuscire solo a delineare i confini delle mie speranze su come finirà questo periodo inedito della vita, avverto la mancanza di autorevolezza dello Stato, attraverso gli atti e le restrizioni a cui si è sottoposti, alle troppe fonti che suggeriscono e che impongono a cittadini di diverse Regioni italiane comportamenti discordanti tra loro. Comportamenti che provocano “strane” reazioni e, quel che più conta, risultati non coerenti con le attese e a quanto pare anche dannosi negli effetti.
La sovranità dello Stato, questo mi pare, è messa in forse. E’ sotto stress. Questa sensazione di cittadino solo un po’ consapevole è una montagna che ha due versanti, che pratico con forti difficoltà, sicuramente con parole non sempre azzeccate, dovute alla mia visione dello Stato, non giuridica, fatta di sensazioni, come ho scritto prima: uno è il rapporto tra lo Stato e le Regioni, l'altro il rapporto tra Stati in Europa.
Nel primo caso manca, ripeto, secondo me, la capacità dello Stato di porsi come unica sede istituzionale che disciplina le parti sociali. Le Autonomie Regionali, ma anche la prerogativa in ambito sanitario che esse possano organizzare ed erogare il diritto stabilito dall’art. 32 della Costituzione, non stanno funzionando. Le Regioni lamentano la scarsa efficacia dello Stato quando non sono in grado di risolvere l’emergenza da soli, lo Stato non può e non riesce ad essere egualitario nei servizi sull’intero territorio nazionale. In ogni caso, il territorio italiano sembra uno Stato Federale, tante sono le decisioni in campo e molte opposte fra loro. E’ come se ogni Regione volesse ribadire la propria “indipendenza” e “autonomia” economica, sociale, finanziaria e anche scientifica dalle altre. Con tonfi clamorosi, che riguardano l’autorevolezza e la presunzione degli autori delle decisioni, tutte giocate sulle vite degli italiani.
Per quanto riguarda il secondo versante, invece, è certo che alcuni Stati abbiano rinunciato a qualche aspetto della loro sovranità. L'Unione Europea è sede delle contraddizioni che ne risultano. Una unione finanziaria, una unione non completa, di cui gli Stati europei non decidono il destino diverso che vorremmo tutti e che neanche in questo caso riesce ad essere autorevole se non dopo estenuanti richiami ad una utopistica “indole” europea dei cittadini continentali.
Mi resta un altro pensiero e poi prometto di non scrivere altro, in merito: nel mezzo di questo cammino, penso quello che deve rimanere da questa esperienza comune e insieme solitaria, sono le vite delle persone, non il consenso per governare il caos ancora per qualche anno. Bisognerà decidersi a scegliere e io credo di averlo fatto. Intanto faccio il mio dovere. Speriamo, bene. Anche se occorre la ben nota massa critica, per muovere le montagne.

domenica 29 marzo 2020

L'Originale.

Ci serve un artista fuori dalle regole, originale e quindi irripetibile, per fasi della vita come questa. Serve, perché essere unici, passionali e irripetibili ci indica un modo di essere che possiamo personalizzare. Qui e ora bisogna cercare appigli, di quelli solidi.
Jimi Hendrix è stato l’artista più originale del rock e del rhythm&blues. Era mancino e però usava chitarre normali, quelle preparate per chi suonava con la mano destra. Gira la testa solo a pensarci.
Iniziò a suonare sentendo il blues di Robert Johnson e B.B. King. Suonò con Little Richard, Wilson Pickett, Solomon Burke. Che curriculum!
Il successo a cui andò incontro lo travolse, facendolo precipitare nel mondo terrificante delle droghe. Gli incendi delle sue chitarre alla fine dei concerti sono collegati a questa forma di autodistruzione. Come ammonimento, forse, a non commettere atti irrimediabili e come tributo alla gloria del rock.
Ci interessa il suo blues: fu un esponente del blues ancestrale, brusco, di strada e fu naturale che evolvesse verso il rhythm&blues metropolitano e il soul. Sempre con una energia esplosiva, con una forza creativa e originale che non hanno mai avuto pari.
La sua vita si interruppe da giovane, nel 1970, ma la sua lezione trascende le barriere del tempo.

Lo ascoltiamo in un pezzo in cui sminuzza e stropiccia il blues normale in 12 battute. La vera libertà, senza rinunciare alla allegria, alla gioia di suonare.

Jimi Hendrix: Red House.