Sam
Lightnin’ Hopkins è uno dei miei preferiti. Bluesman viaggiatore senza soste,
aveva il terrore dell’aereo. Per questo per moltissimi anni non si spostò dal
Texas e Stati limitrofi. Eppure era richiesto, anche in Europa.
Denunciava
le condizioni di vita dei neri degli anni delle prime lotte contro la
segregazione. E temeva fortemente che nel vecchio continente non avrebbero
capito i suoi argomenti.
La
segregazione ha questo effetto nefasto, nelle sue vittime: tendono ad auto isolarsi,
mentre intorno si fomenta l’odio razziale quotidianamente.
Quest’uomo
sul palco si trasformava in un cronista prestato al Blues più nobile, quello
fatto da conoscenza dello strumento e testi profondi, tristi, motivati da
voglia di rivalsa civile e sociale.
La
conoscenza dello strumento non è per Lightin’ tecnicismo. E’ conoscenza del
ruolo delle sei corde nel Blues, le strofe pesanti come l’aria appestata del
perbenismo, versi drammatici, crudi e radicali.
Creava,
come i poeti, la miscela vera, vera anche nel Blues: realtà e poesia in musica.
Vi
propongo uno dei suoi pezzi più intensi e conosciuti. Grande Sam.
Baby,
Please Don’t Go.