Le opere pubbliche
incompiute sono una manifestazione di una potenziale buona volontà degli Enti non
supportata dalla concretezza. Escluse quelle progettate e realizzate
parzialmente a scopo di malaffare, le altre, poche o molte che siano,
rappresentano la società che amministra e i gruppi di potere che agiscono
secondo le proprie specializzazioni. Se si è specializzati a costruire un manufatto,
un costruttore lo farà a qualsiasi costo, lo sappiamo ed è inutile nasconderlo.
La burocrazia agisce
come un ostacolo posto ad eliminare, nelle intenzioni, frodi e combine ma si rivela
inefficace. I tempi per la realizzazione sono incerti, i fondi sono legati allo
stato di avanzamento, i vincoli sono creati per salvaguardare tutta una serie
di prerogative del territorio.
Nella piccola
Locride c’è un dato che a me risulta evidente: le opere pubbliche dedicate alla
cultura, teatri e strutture idonee alla rappresentazione artistica, sono frequenti.
Quando una struttura non è completata, per i motivi indicati o per altri che
non sono di mia conoscenza, il cittadino si chiede se quella struttura sia
davvero necessaria o se rappresenta una speculazione edilizia in senso stretto
o uno spreco per incapacità.
Le intenzioni
dell’Amministratore, quali sono? Fare la struttura è indispensabile, ideare e
realizzare le condizioni per una gestione artistica consapevole e non
occasionale e improvvisata, pure. Le due cose sembrano inseparabili, ma così
non è, nella realtà. Se la struttura serva ad una cittadinanza assetata o
bisognosa di esibizioni teatrali e occasioni culturali o se l’Amministratore
abbia bisogno di attestare l’operosità e lasciare un segno tangibile del suo “attivismo”
culturale resta un quesito irrisolto.
Nel nostro caso,
da cittadino esente da interessi che non escludono la fruizione di beni “non
occasionali”, penso che un teatro sia un luogo ideale, non obbligatoriamente
fisico; che più importante è la predisposizione di una cittadinanza a esigere
certi presidi culturali, mai alternativi alla erogazione di servizi essenziali
e mai in concorrenza con essi; che la gestione amministrativa di strutture impegnative
prosciughi e banalizzi la parte creativa e artistica dell’investimento.
Insomma, il
ruolo di un teatro è quello di fare in modo che siano i suoi spettacoli, e non
la sua crisi, a rispecchiare la nostra società.
A completamento
del pensiero, i dati dell’ISTAT che, come al solito, inquadrano senza
benevolenza la miseria del Sud, del nostro Sud, anche in questo settore della
vivere civile.
“Tra il 2013
e il 2014 la spesa delle amministrazioni comunali per ricreazione e cultura si
è ridotta di quasi un quarto: gli impegni sono infatti passati da 1.990 a 1.531
milioni di euro; l’incidenza sulla spesa totale resta tuttavia pressoché
inalterata, risultando del 2,8 per cento nel 2014 a fronte del 2,9 per cento
nell’anno precedente. Da rilevare tutta via, a livello di dettaglio
territoriale, che mentre al Nord-est l’incidenza si avvicina al 4 per cento, al
Sud supera di poco l’1 per cento. La delimitazione del settore economico che
produce beni e servizi culturali è resa complessa dal fatto che una larga parte
di questi processi si svolgono all’interno della Pubblica amministrazione (come
nel caso dei servizi di musei e biblioteche) e che parte della produzione
avviene in comparti non appartenenti alle categorie “culturali” in senso
stretto.
Fonte:
Istat, Elaborazione dati sui bilanci consuntivi delle amministrazioni comunali.”