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mercoledì 31 gennaio 2018

La partenza dal basso, il blues ci ricorda come dovrebbe essere.



Decido di tornare allo studio del blues, di gran lunga più emozionante di qualsiasi attività umana che preveda la supremazia di un essere umano su un altro, intelletuale o fisica.
Quello che ricordo dei primi anni dello studio di questo particolare modo di fare musica e contemporaneamente urlare la propria condizione di vita, è che nacque in Gambia. Li nacque qualcosa che si può definire l’inizio della lotta di classe musicata.
Lo strumento che veniva suonato era fatto con una zucca allungata essiccata fino a raggiungere la durezza della plastica. Cinque corde ricavate da una lenza da pesca, fatta chissà come, legate al palo di legno che serviva come manico dello strumento. Quattro corde si estendevano fino alla fine del palo, la quinta era legata al corpo dello strumento ed era più corta e dava i toni un po’ più alti. Il ponte era scolpito a mano che manteneva le corde, separate dalla membrana di pelle di capra che copriva il taglio effettuato sulla zucca. Nella lingua degli africani che lo portarono nel sud degli Stati Uniti si chiamava banjo.
In mano ai bianchi lo strumento diventò gradatamente come lo ricorda qualcuno di noi, se vogliamo ricordare. E perse gradatamente il ruolo e la funzione, sostituito dalla chitarra.
La prossima volta mi ricorderò di come era strutturata una canzone blues. Perché il blues è triste, ma fedele nella memoria.

John Lee Hooker, Boogie Chillen. Ma se sentiremo molti altri.

venerdì 19 gennaio 2018

Leggeri disturbi da informazione social.



Passano indisturbate ed incontrollabili migliaia di informazioni, sui social. Indisturbate ed incontrollabili fino a quando decidiamo di verificare, se vogliamo.
Chi tra gli utenti dei social si adopera per meglio informare – o disinformare – i propri lettori o chi, casualmente, incespica in articoli pieni di coriandoli, cerca di conquistare consensi e like facendo riferimento ad errori, porcherie, scandali, reati, contraddizioni degli avversari. Molto spesso avversari politici, di cui sarebbe meglio analizzare le scelte politiche e i comportamenti dentro o nei confronti delle Istituzioni oltre che nella gestione dei rapporti con il "pubblico".
Ma ciò che manca è l’autodiagnosi. Il computer di bordo degli analisti del sangue degli avversari politici non avverte dei propri scivoloni, delle proprie contraddizioni, a volte davvero irresistibili  negli effetti, nelle conseguenze della credibilità data in pasto ai social.
Molti sono i miei punti deboli, da questo punto di vista: mi sono ripromesso di non denigrare alcune posizioni politiche e con molta fatica cerco di proseguire in questa lotta praticamente solitaria.
L’invito è di finalmente sottintendere in tanti che le posizioni in campo sono chiare; che non è utile – altro che voto utile – riversare il proprio astio verso l’incapacità presunta degli avversari, quanto sarebbe necessario dimostrare invece la bontà dei programmi a cui si fa riferimento.
E lo so che riportare ossessivamente le proprie buone ragioni – sempre presunte – risulta ripetitivo, ma sfido chiunque dimostrare di poter vivere sui social esperienze migliori leggendo esclusivamente valutazioni sugli errori degli avversari senza contrapporre misure e opzioni alternative dettagliate. Immagino che risulti particolarmente impegnativo rendere interessanti i propri commenti e le valutazioni contro una persona o contro un partito. Ma se si prova a rendere interessanti i progetti e le posizioni politiche si apre una sfida da veri cultori della socialità mediatica.