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mercoledì 18 gennaio 2023

Ascensore, treno o aereo?

 Si tolga di mezzo il vittimismo, si levi di torno il pessimismo, prevalga il realismo.

L’ottimismo dice: il sud più a meridione del mezzogiorno d’Italia e d’Europa non è sottosviluppato. Si prendano indici numerici, valutazioni sui servizi di altri territori usati come termini di paragone, qualità della vita e si tirino le somme.

Viene allora in superficie e sbattuto in prima pagina e a reti unificate il pensiero diffuso dalla presente classe dirigente unita che il modo di vivere, di affrontare la vita da queste parti è questo può essere modificato in meglio o in peggio solo per una parte di popolazione, per gli altri la routine è indotta, obbligata. Cioè: meglio di così non si può.

Di fronte a questo semplice ragionamento la nostra società nasce divisa prima ancora che qualcuno si metta a riflettere e spiegare. Da un lato la parte più ottimista e pragmatica, che precisa in ogni momento che il sud è bello, è importante, la storia e il paesaggio e “chisti simu”, ecc, dall’altro la parte pessimista, a sua volta divisa tra chi addossa colpe come non ci fosse un domani a chiunque diverso da sé e la parte che colpevolizza il nostro modo di essere e la genetica.

Poi ci sono i tecnici, quelli che il PIL lo mettono a decidere la soglia del benessere. Se si ci trova sotto soglia si è sottosviluppati, economicamente. Ma anche socialmente, culturalmente, politicamente. Si, perché anche questi fattori si misurano in €.

Ed ecco la batosta finale, con la quale batosta mi trovo “casualmente” d’accordo nell’assestarla: il presunto sottosviluppo del sud odierno – condiviso o no in questi termini – sarebbe e consisterebbe nell'assenza, nella scarsa diffusione, nel cattivo funzionamento di istituzioni e apparati statali non in grado di guidare (gli uomini che li frequentano e occupano con pochi meriti) la società nel suo complesso che annaspa in mille difficoltà.

L’ascensore sociale è fermo. Al più si possono prendere treni e aerei, gli altri stazionino con le occasioni rare che si possono sfruttare, in assenza di scossoni salutari.

domenica 1 gennaio 2023

La forza delle ragioni.

Vorremmo tutti, probabilmente, fare parte dell’inizio di una fase storica. Che riguardi la famiglia, il lavoro, il proprio Paese, non importa. Importerebbe essere coscienti del cambiamento avendo bene in mente gli obbiettivi da raggiungere attraverso quel cambiamento, con l’indirizzo dato dalle persone che lo hanno provocato, per adesione ragionata alle loro idee, per la determinazione dimostrata per esser lì, in quel momento, per pura condivisione e partecipazione.

Così “pieno”, dev’essere stato il sentimento dei Costituenti che misero in atto quel Patto degli Italiani che è la Costituzione. Come sappiamo, il I Gennaio 1948 entrò in vigore e da allora non si fa che chiedersi come italiani nati solo in epoca diversa possano aver dato modo alla dialettica e alla mediazione politica di fornire ad un popolo stremato lo strumento per la convivenza pacifica sotto un tetto istituzionale prodigioso.

Di tutti gli aneddoti e racconti che si citano in occasione della ricorrenza dell’entrata in vigore della Costituzione ricordo per averlo letto casualmente, tra gli altri, un fatto politico. Quando fu elaborato e scritto l’art. 7 – che riguardava i rapporti tra Stato e Chiesa – la DC, attraverso Aldo Moro, insistette in quella sede e soprattutto con il PCI per l’adozione dei Patti Lateranensi (quelli sottoscritti da Mussolini e il Cardinale Pietro Gasparri, delegato da Pio XI). Il PCI dei dirigenti si opponeva fermamente, evidenziando come fosse inaccettabile che un Patto firmato dai fascisti fosse preso in considerazione come base per i futuri rapporti tra due Stati come l’Italia e il Vaticano.

Il Segretario del PCI, Palmiro Togliatti, prese una decisione che, valutata con i mezzi politici e culturali di cui si dispone oggi, appare quasi sconvolgente: egli chiese, praticamente impose al partito, di dare parere positivo all’inserimento del Patto Lateranense in Costituzione. Come argomentò la sorprendente richiesta? Egli spiegò che lo sforzo di chiudere quanto prima la Costituzione, lo sforzo di concludere in positivo quanto da mesi si stava realizzando, era di importanza primaria rispetto alla questione in sé. E che oltretutto non si poteva, in alcun modo, mettere in secondo piano l’altro aspetto del confronto aspro che si sarebbe creato nelle masse operaie aderenti al partito, in buona parte cattoliche. Non si doveva spaccare il partito proprio con l’argomento religioso più spinoso.

Come chiameremmo ora questo modo di gestire una fase storica? Non mi ci metto neanche, a pensarci. Ora ci si confronta su misure marginali e strumentali con espressioni catastrofiche, nella certezza che nessuna di queste decisioni possa veramente determinare cambiamenti radicali nella società disinteressata di oggi. Giusti o sbagliati che siano, i cambiamenti che stiamo “subendo” in questi mesi sono limitati, di corto respiro, erodono libertà marginali, non determinano nemmeno reazioni coordinate di opposizioni rese marginali da dirigenti… marginali (politicamente).

Mi pare che ci sia bisogno di pensieri e obbiettivi superiori e questi, ora, non ci sono e non ci possono essere.