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Politica. Meridionalismo. Blues.

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lunedì 26 dicembre 2016

Sembra che funzioni.

Il Natale sembra che funzioni. Il 25 Dicembre è una data che ha un significato magico per ogni età della vita di una persona. E funziona il ripetersi incessante di un appuntamento che solo superficialmente viene definito ormai come occasione commerciale e consumistica. Natale commerciale e consumistico: sono certo che il Figlio di Dio ambisce ad essere commercializzato e consumato dalle anime di ognuno di noi. Non comprato, non utilizzato come sponsor, ma preso ad esempio e indurre il maggior numero di persone verso uno stato d’animo proteso alla ricerca di benessere interiore e solidarietà. L’attesa del Natale mi ha sempre messo di buon umore, senza per questo essere euforico, entusiasta od ottimista in modo forzato. Riuscendo a vedere la famiglia riunita e tesa in uno sforzo di fratellanza nonostante le difficoltà quotidiane, si riapre la speranza di un futuro prossimo più alla portata di persone semplici che trovano nel reciproco sostegno un motivo valido per prolungare la stagione della condivisione un po' di più. Ora non è il momento di affrontare i temi quotidiani in modo complesso. E’ il momento di provare a stare in una comunità. Chi si esclude dalla prova non può trovare pace negli eccessi consumistici. Domani per costoro sarà solo un altro giorno identico, solo con qualche rimpianto in più. Buon Natale a noi.

sabato 3 dicembre 2016

Alzare la testa.

Il più grande nemico della coesistenza pacifica è l’incoscienza, che deriva dalla superficialità e dall’allentarsi dei legami del tessuto sociale. Il pericolo morale del cittadino che perde il contatto con i suoi conterranei, che è considerato come straniero dalle persone in mezzo a cui vive, è presente costantemente. Da ciò deriva un egoismo spregevole e triste. Ma da tale situazione si esce con un rinnovato senso di solidarietà, sempre che disposizioni superiori - ma anche inferiori, contingenti, culturali o economiche - lo impediscano, per la somma gioia di pochi, neanche eletti.

mercoledì 2 novembre 2016

Il necessario distacco.

Per il voto del 4 dicembre siamo già schierati. Lo siamo quasi tutti. Gli indecisi un po’ si disinteressano. In realtà anche loro hanno già deciso cosa votare. L’astensione è un pugno nello stomaco, ma questo referendum non contempla il quorum. Con il necessario distacco guardo dall’alto lo scenario che fa da coreografia all’assetto costituzionale che si vuole così fortemente cambiare: è vero, viene detto ripetutamente che in fin dei conti se vincesse il NO non ci sarebbe la fine del mondo, forse dovremmo attendere un paio di lustri per una nuova proposta di riforma costituzionale. E se vincesse il SI alcuni valori fondanti del nostro Stato sarebbero conservati, se non amplificati. Ma non è scoprire qual è lo slogan più efficace la piccola missione di ricognizione che vorrei svolgere. Ad un certo punto il meccanismo di funzionamento di un apparato complesso come lo Stato, ci insegnano e spiegano, rallenta, si inceppa. Da quel momento, e identificare il momento è già materia del contendere, ci si è affannati a recriminare l’urgenza di intervenire. Qualcuno ricorda che hanno già tentato di operare revisioni; in alcuni casi le riforme costituzionali sono state realizzate (bene, male) e in questo momento tutti diciamo: male. In quale punto si è inceppato il meccanismo di funzionamento di questo Stato? Per caso, noi cittadini normali (senza apparenti titoli, per intenderci), abbiamo avvertito che il sistema messo in opera dopo la fine della II Guerra Mondiale andava profondamente revisionato? Se mi pongo questa domanda, nel silenzio opportuno che la dimensione del quesito merita, devo ammettere che la Costituzione mi appare come un contenitore di principi pressoché perfetti in una parte; e che l’altra parte non sia revisionabile dall’attuale classe politica. Semplicemente e definitivamente. La responsabilità di questa mia convinzione non posso che addossarla tutta, completamente e senza ripensamenti alla degenerazione dei Partiti, alla corruzione, ai ricatti subiti e fatti dagli esponenti del potere politico. Se da una tale società politica dovesse scaturire un rimedio peggiore del male, la responsabilità, come sempre, è di chi vota. Questi signori si adatteranno immediatamente alla nuova situazione. Ma il rischio è essere definito qualunquista, populista, complottista. Questo è già un ricatto e non ho alcuna voglia di subirlo. Un politico che si rispetti, meglio, che si voglia far rispettare, agisce dentro il sistema e dimostra di volerlo cambiare per migliorarlo, in un contesto condiviso. Certo che è difficile, fosse stato semplice uno qualunque degli attuali politici avrebbe potuto tentare un’avventura così impegnativa. Dite che il tentativo è già in atto e che l’operazione è il logico risultato di pressioni di altro mondi, forse il finanziario? In questo caso, ma anche in altri casi meno globali e comunque fino all’arrivo, in numero dignitoso, di rappresentanti della società coerenti e non corrotti, #iovotono. Risulta che i primi Padri Costituenti fossero incoerenti e corrotti?

mercoledì 19 ottobre 2016

La civiltà del consenso.

Li costrinsero a contarsi, per un si o per un no. Una sparuta schiera di cacciatori di consensi, ben allenati, di diverse etnie politiche ma con un unico obbiettivo, aveva raggiunto lo scopo, superiore ad ogni mezzo di difesa che si potesse organizzare, di dividere un popolo. La divisione era l’obbiettivo, palese e cercato. L’interesse superiore di questa pattuglia numerica-mente insignificante, ma potente e supportata da orde di finanziatori armati di Euro fino ai denti, non poteva che avere successo. Si trattava di fare aderire ad un’ipotesi di convivenza obbligata i singoli, ma anche tutta una serie di comunità disorganizzate e deluse. Figure centrali erano i mediatori, i pacificatori, detti anche moderati. Quasi degli assistenti sociali, il loro ruolo era quello di abbassare la tensione sociale, riportando tutto a forme di spettacolo gratuito a cui si poteva assistere senza troppo esigere in tema di verità, sincerità, onestà. Le coscienze erano occupate a divincolarsi da mille problemi reali e distrarre una tale massa di persone era complesso. Eppure si lavorava al progetto in modo serrato. Ci si contorceva in un continuo logorio ritmico, scandito dalla necessità di compiere un dovere inderogabile, per nulla scalfito dalla presenza di nul-lafacenti ben pagati, attaccati come sanguisughe a liste, cartelli, coalizioni. Gli elenchi erano la fissazione dei cacciatori di consensi. Avevano imparato a compilarne di tutti i tipi. C’erano elezioni ovunque, dai condomini, alle scuole, ai quartieri, ai piccolissimi comuni, alle grandi città, ad agglomerati di comuni e città, regioni, fino al governo centrale. Un’euforia intermi-nabile ed inconcludente che sfociava inevitabilmente nell’unico momento di follia collettiva condi-visa: l’elezione dei candidati. Vincere. Capite? Vincere. Arte, cultura, tradizioni, valori, messi in un angolo ad aspettare. C’erano gli indifferenti, come no: additati come i diretti responsabili dell’insoddisfacente situazione socio-economica, erano ormai la maggioranza numerica. Ma, completamente disinteressata al gioco collettivo, la maggioranza indifferente cercava di sfuggire al coinvolgimento sfruttando il resto della realtà disponibile. Il che avrebbe lasciato ai cacciatori libertà di esercizio del bracconaggio, con danni sottovalutati, ma con l’illusione di sfuggire alla civiltà del consenso, almeno fino al primo favore necessario.

mercoledì 3 agosto 2016

Lo scrupolo di coscienza.

E’ stato smarrito lo scrupolo di coscienza. Una importante parte dei cittadini ha rimosso quel flebile lamento che impediva di far prevalere atteggiamenti prevaricanti. La conseguenza è che ogni azione e reazione deve essere regolata da leggi e norme durissime e per questo non applicabili, anziché dalle regole imposte dalla propria coscienza e dal buon senso. In questo c’entra la diffusa anarchia, per cui la prevaricazione subita da altri viene vissuta come una implicita autorizzazione all’uso libertario degli spazi e dei diritti del prossimo. Ma che palle, direte voi, e sono d’accordo. Perché l’analisi non è originale, non può esserlo. Ma non avrete soddisfazione nemmeno dalla cura: non c’è. Se dovessimo comportarci tutti, improvvisamente e contemporaneamente in modo corretto e rispettoso, rendendoci conto che c’è convenienza ad esserlo, probabilmente lo avremmo già fatto. E’ che non conviene essere rispettosi. Come si farebbe ad esercitare la prepotenza, la propria superiorità intellettuale, economica, di classe sociale? Si cercasse invece lo scrupolo di coscienza magari utilizzando sistemi elettronici che cacciano strani esseri artificiali, quelli si, privi di coscienza. Sarebbe una vera ricerca di se stessi e si apprezzerebbe il tempo utilizzato per trovare i propri limiti e verificare quelli degli altri, almeno fino all’angolo di strada successivo.

sabato 23 luglio 2016

Il destino del Lungomare.

Ogni sidernese si è fatto un’idea del Lungomare delle Palme che verrà. La mia idea è spostata verso l’utilizzo pedonale, ma ciò che penso io non è così importante. E’ interessante rilevare quali siano le idee dei cittadini a prescindere dai progetti al vaglio delle autorità competenti per la realizzazione di una struttura che duri altri cinquanta anni. Chi lo vorrebbe aperto perennemente al traffico per motivi commerciali; chi completamente pedonale, per motivi di rispetto dell’ambiente; chi lo immagina come vetrina espositiva di locali votati all’intrattenimento; chi sede di spazi che favoriscano la socialità al di fuori del consumismo tipico dei mesi estivi. Sono 1.800 metri di affaccio su una spiaggia, diciamo così, a singhiozzo. Se viene considerata come una struttura che serva come accesso alla spiaggia e alle attività di servizio turistico-ricettivo debitamente nor-mate o come un rettilineo con un susseguirsi ininterrotto di locali, cambia la destinazione d’uso e non potremo mai essere tutti d’accordo. Ma proviamo a spezzettare il percorso, per accontentare tutti. Appunto per questo non potremo mai essere completamente soddisfatti: un tratto di casino inimmaginabile, senza limite di velocità per auto e moto e parcheggio selvaggio (un po’ come accade ora); un altro pedonale, al buio e illuminato ad intermittenza, dipende dalle circostanze, con bagni chimici (un po’ come accade ora); un altro ancora con giostre un po’ come accade ora); un altro residenziale o in via di determinazione della destinazione d’uso (un po’ come accade ora); un altro completamente abbandonato (un po’ come accade ora). Solo provocazioni, certo. Ma attenzione alle facili soluzioni che pretendono di accontentare tutti: non accontentano proprio nessuno. Intanto, un'idea poco meno che imprecisa, è gradita.

martedì 21 giugno 2016

Il cambiamento.

E bisognerà scriverle due parole sul cambiamento. Auspicato da moltissimi, nella società e nella politica, ha in se il senso della sostituzione degli ingredienti che causano ristagno, continenza, scarsa circolazione di idee. Cambio dell’aria, di stagione, di partner, di gioco, di studio. Cambio della conduzione tecnica, politica, culturale. La grande fretta di questi tempi scanditi da mezzi tecnologici molto stupidi ma indispensabili a chi non lo è, impone cambiamenti a tutti i costi, molto poco ragionati. C’è ancora chi ricorre alla lentezza dei ragionamenti, ma è messo in minoranza da chi ritiene che la risposta sta nella velocità di reazione. Fosse anche vero, quando si vuole intervenire in attività che non sono giochi di società dove al massimo perdi un giro, si deve tenere conto di tutte le componenti che agiscono contemporaneamente sullo stesso punto, senza avere per questo la stessa forza di determinare cambiamenti generali. Eccoci alla politica e a chi si assume la responsabilità di fornire ricette da imporre a maggioranza senza scambi di posizioni. Le scarpe degli altri sono sempre scomode da indossare.

sabato 28 maggio 2016

Mi spieghi cos’è una disuguaglianza.

Lei che ha un modo di esprimersi così diretto, immediato ed opportuno, mi dica, in sincerità, cos’è per Lei una disuguaglianza tra uomini? Ora però non inizi chiedendomi un dettaglio banale come distinguere tra uomini e donne, non ce lo aspettiamo da Lei. Dispone di capacità di lettura della realtà che non ha eguali. Sta dicendomi che dipende dalla fortuna nascere in un posto che non presenti disuguaglianze economiche, sociali, culturali rispetto ad altri territori più sfortunati. Che se le disuguaglianze su indicate si presentano contemporaneamente non resta che lottare tutti insieme per creare condizioni medesime di partenza, fare in modo che si abbattano i muri e le difficoltà ataviche. Ma se appena appena una disuguaglianza mancasse dall’elenco, cogliere l’attimo favorevole sarebbe più facile e persino ingiusto non coglierla al volo. Sta aggiungendo che è necessario avere una ricchezza interiore che consenta di valutare bene cosa sia necessario o sufficiente per fare una vita piena; se però si è privi di una educazione “positiva”, la vita si presenterà grama. Che dipende dall’educazione ricevuta dalla famiglia e dalla scuola; dalla religione pure, certamente. Non parliamo delle amicizie e delle frequentazioni. E che poi dipende dalla capacità di adattamento, sopportazione e aggressione delle occasioni che ti si presentano. Dal clima sociale e dalle malattie che possono trasformare l’intera vita o parte di essa. Ma Lei è saggio davvero. Trasmette sicurezza ed indica una strada esemplare. Noi La dobbiamo seguire, no? Lei darà una soluzione alle disuguaglianze partendo dalle più elementari, fino al lussuoso piacere di godere del superfluo artistico e commerciale. E tutto questo per un voto? Un solo, miserabile e diseguale voto? Dov’è il trucco, sovrastruttura posticcia della società?

mercoledì 27 aprile 2016

La Locride è un’espressione geografica.

La Locride è un catalogo di tutti i difetti delle periferie del globo. Fatti che si susseguono incalzanti ratificano l'assenza di un obiettivo minimo comune di tutte le componenti di questa particolare società. Colpisce il mio immaginario la riunione dei Sindaci della Locride “geografica” che si è tenuta il 26/04/2016, presso la Sala Consiliare del Comune di Siderno. Su 42 sindaci, presenti 17. Diciassette, e alcuni di loro erano delegati. Rappresentano se stessi, quando possono e quando ritengono. L’idea di “marciare su Roma” per esigere attenzione, senza un progetto complessivo, è un singolare moto inutile verso una Capitale sorda e volontariamente incapace di mettere proprio questa “espressione geografica” al centro di un qualsiasi tabellone. Semmai dietro la lavagna, con fare da professori d’altri tempi, i “Capitalisti” ci invitano ad emanciparci. Ma quale parte di questa società deve emanciparsi? I professionisti, i commercianti, i disoccupati, i nullafacenti, i graziati del voucher, gli studenti fuori sede, gli insegnanti precari, i malati viaggiatori della speranza negata, i pensionati, quelli che aspettano il lungomare, gli iscritti ai partiti che devono capire dove collocarsi all’interno di questi comitati d’affari, le centinaia di associazioni che si disputano – alcune meritoriamente – un ruolo di protagonisti civili in un deserto ? La parte attiva della Locride “espressione geografica” fatica e patisce, in silenzio. Rabbiosa e piena di rancore, disinteressata a ragione all’incapacità dei delegati ed eletti del popolo, cosciente che nulla può cambiare senza un contemporaneo passo indietro delle parti peggiori di questa gloriosa società.

mercoledì 20 aprile 2016

Mi astengo.

Per tutto ciò che non riesco a fare. Per le opinioni che non posso esprimere, data l’appartenenza al carrozzone. Per la mia posizione, guadagnata con il sudore della coerenza. Perché me ne frego. Perché non valete un secondo della mia attenzione. Per la fatica che faccio a guadagnarmi il pane. Per la fatica che faccio a mantenermi le ostriche. Perché ho un giro di amicizie che non ti dico. Perché ci credo, in quello che non voto. Perché il voto è opinabile. Mi hanno detto di fare così. Per il tempo che non voglio perdere. Perché devo lavorare. Perché siete tutti uguali. Non c’è uno solo tra voi che mi sappia spiegare perché votare. Perché, ancora ci credete? Voterò quando c’è da scegliere una persona. Perché non mi riguarda. Potrei votare SI o NO, è più facile mettermi con chi ha vinto, dopo. Quindi non voto. Costa troppo. Soldi sprecati, si poteva fare di tutto, con quei soldi. Le cose serie sono altre. Mio papà non vuole. Fanno lo stesso quello che vogliono. E’ lecito non votare. L’astensione vale un voto. Renzi.

giovedì 17 marzo 2016

Il nostro inquinamento.

Non ci sono molti argomenti per spingere i cittadini a destinare il proprio Si al referendum delle trivellazioni.Serve essere coscienti. Per noi gente di mare, di costa e mare aperto, lo sforzo è minore. Se la nostra risorsa è il mare vogliamo tutelarlo; se le nostre risorse fossero invece il petrolio o il gas, preferiremmo l’estrazione senz’altro, perché porterebbe ricchezza, sotto forma di royalties da distribuire in sconti sulla bollette elettriche. Ma è una favola terzomondista. Ricordo i lunghi minuti a cercare di smacchiarsi i piedi, le mani dal petrolio – o dagli scarti petroliferi, meglio – in spiaggia, da giovani, con le pietre calde, quando il nostro litorale era destinatario del prodotto greggio o esausto, per lunghi chilometri. Ricordo bene i lamenti, i tentativi di reazione contro chi lavava (si dice), le cisterne delle navi al largo e per chilometri si spiaggiavno grumi di idrocarburi che ci facevano passare la voglia di stare al mare; intuivamo anche la pericolosità dei comportamenti contro l’anbiente, ma senza maturare consapevolezza. Anzi tendevamo a nascondere l’inquinamento. Ricordo anche di tentativi giudiziari andati archiviati. Non è il caso di fare terrorismo ambientale. Basta essere realisti e convincersi che un problema si crea quando si forza la mano. Una risorsa non è naturale perché la estraiamo cercando di evitare incidenti. Quanti casi sono accaduti, molto gravi e in luoghi diversi? Siamo deboli e nella debolezza delle risposte – il Partito di maggioranza relativa, è notizia di oggi, decide di andare al mare il 17 Aprile, piuttosto che votare SI – si prendono iniziative irrazionali, disperate. Per poche settimane di autosufficienza, siamo disposti a Grippare l’Italia, meglio la nostra parte, più lontana e silenziosa, passiva, arrendevole e venduta.

giovedì 25 febbraio 2016

Il compromesso.

Il compromesso. In diversi ambiti della società impera il compromesso come sistema di sopravvivenza. Ma perché questa via di fuga dalle scelte radicali ha così tanto successo? Il compromesso solleva dalle responsabilità; è un’ottima soluzione per chi ne fa un sistema di vita, garantisce a tutti i destinatari una soluzione a portata di mano e frutto magari di estenuanti trattative sociali, politiche, legate al mondo del lavoro. Il compromesso premia sempre gli attori al tavolo, mai i destinatari del loro sforzo. Problemi serissimi quando il compromesso si eleva a sistema di vita: nelle religioni, nella pratica quotidiana dell’essere cristiano o altro, siamo protagonisti di compromessi con noi stessi che rasentano il paradosso. Dei sacerdoti con loro stessi e con la società dei fedeli, ma anche viceversa. Nella politica, il compromesso è praticato sistematicamente. Non sono sicuro che la politica sia solo la pratica del compromesso tra parti politiche diverse, a volte avverse. Questo atteggiamento rivela l’incapacità di detenere una posizione netta e decisa sui principi per cui si è deciso di essere delegati dai propri elettori, pronti a cambiare verso rispetto a posizioni utilizzate per carpire consensi e poi cestinate in ossequio al “potere contrattuale” del compromesso. C’è chi insegna che la politica è la ricerca sistematica del compromesso. Non è così. I diritti hanno bisogno di punti fermi, di certezze inamovibili da cui non arretrare mai, nemmeno davanti a situazioni economiche e sociali tali da imporre – ma ciò è sempre strumentale – perdite di posizioni in termini di diritti civili. Il compromesso tra una sanità efficiente e una sanità sufficiente, è divenuto un altro paradosso. Se la sanità della mia Regione è da quarto mondo – escluse le poche ma presenti eccezioni – il compromesso è rappresentato da un viaggio della speranza. Ma questo non è un compromesso accettabile, non tutti possono investire, ormai, in tali viaggi. No al compromesso come stile di vita. No al compromesso come sistema di mantenimento del potere politico. Legato al concetto di compromesso vedo significati smarriti e parole come dovere, rispetto, tutela degli aventi diritto, coscienza. Ma poi, avete mai sentito parlare di un compromesso che non sia al ribasso?

martedì 16 febbraio 2016

I lustrini della politica.

Non ha senso criticare la Lega per i nuovi arresti. Come non ha senso credere di avere soddisfazione da provvedimenti giudiziari che riguardino un mondo detto politico, ma di fatto indaffarato nella gestione di cose, risorse, idee, posti di lavoro, lasciti e da definire, per tutto ciò, affaristico. Il passaggio di soldi da aziende ben disposte a uomini messi lì per connettere interessi economici in nome della rappresentanza popolare è un ennesimo fenomeno di degrado, di perdita di significato delle Istituzioni, compromesse attraverso la cialtroneria, la semplificazione ultrapopolare dei ruoli di rappresentanza istituzionale, a tutti i livelli. Ma d’altra parte, come resistere. Come resistere a sollecitazioni di corruzione economica e dei comportamenti. Non c’è un sistema collaudato che possa essere utilizzato per porre un argine serio all’ingresso nel mondo della rappresentanza popolare a persone che intendono collocare in posti di potere prima di tutto i propri accoliti, poi i seguaci e quindi i fedeli. Con queste armate di nominati ci si potrà dedicare alla gestione del bene pubblico, riuscendo a privarlo di ogni significato rispettabile in partenza. Generazioni intere all’inseguimento del potere politico, orde di candidati che pochissimo hanno da dare agli elettori. Questi però, puniscono il sistema con l’astensione, arma che fornisce un alibi illusorio, momentaneo e controproducente. Complicatissimo riuscire a scegliere un rappresentante politico. Esso ti viene imposto; l’idea che intenderebbe perseguire scritta in programmi elettorali confezionati come volantini pubblicitari, atti ad attirare con foto, trafiletti, sogni di notti di mezz’estate irrealizzabili e costosissimi. Non c’è uscita, per il momento.

mercoledì 10 febbraio 2016

La parola del mese è: schifiltoso.

Per non incorrere in equivoci è necessario ricorrere a un buon vocabolario. Il mio riporta: di gusti difficili, schizzinoso; difficile a contentarsi, esigente. Preceduto da “non”, assume il significato da cui sono rimasto abbagliato. Sentire da un Segretario Nazionale di un Partito e Presidente del Consiglio che non bisogna “essere schifiltosi sul voto”, sembra assumere un obbligo indirizzato verso un’assemblea di condominio (senza offesa per i condomini), che debbano deliberare pacificamente sull’acquisto di accessori vari per le rampe delle scale. Il fatto che la raccomandazione fosse in realtà rivolta ad una platea di “studenti della scuola di politica” di un dato Partito Nazionale, fa intendere che la dignità del voto non c’è, non ci può essere e non ci deve essere. Non deve essere valutata, come non deve essere valutata la qualità dei candidati, sui quali, certamente, non bisogna essere “schifiltosi”. La ricerca del consenso è cosa complessa. Se dici e scrivi nero su bianco cosa sia corretto fare per il “bene del Paese”, non si vinceranno mai le elezioni. Se dici e scrivi, sempre nero su bianco, cose non realizzabili e popolari, è probabile che si vincano elezioni che consentiranno di governare con carta bianca su tutto quello che pare o non pare giusto, perseguendo il vero populismo. Se a valutare l’operato del consesso di governo, alla fine del mandato, saranno voti provenienti da zone paludose, non bonificate, contraddittorie, vigerà la regola predominante ed incontestabile, nella sua semplicità e ovvietà, della assenza necessaria della “schifiltosità”. E’ sgradevole persino a pronunciarsi, la parola schifiltoso. Ma esserlo, sarebbe solo “dignitoso”. Il voto deve essere dignitoso. Regalato per interesse, mai.

venerdì 29 gennaio 2016

La nostra Casa, in prestito.

Mi attendo, e credo che questo sia condiviso da molti, che l’Amministrazione Statale dimostri anche e soprattutto nei territori, la perfetta corrispondenza dei luoghi ove risiede con il tenore di vita dei suoi rappresentati. Ciò è alla base della compartecipazione, della condivisione, della volontà di non volere disporre di mezzi e luoghi istituzionali sproporzionati e quindi offensivi nei confronti di chi, lautamente, partecipa alla redistribuzione della ricchezza da quest'altra parte, quella dei contribuenti. Ma, in Calabria, così non è. Nuova sede della Regione, chiaramente sproporzionata rispetto alla produzione e suddivisione di benessere per i cittadini da parte dei temporanei occupanti. Certo, non sempre per loro responsabilità diretta. Oggi, però, saranno presenti tutti. Non valgono missioni, convegni, impegni. Vale il presenzialismo. La casa dei Calabresi, per oggi – amara considerazione che vuol dire l’opposto – è loro. Il distacco è gravissimo, si avverte.

martedì 19 gennaio 2016

Ghiaccio Bollente non deve cessare. Con Massarini per una Rai di qualità.

La chiusura di Ghiaccio Bollente, il Magazine musicale e quindi culturale, su Rai 5, è un danno difficilmente riparabile. La competenza di Carlo Massarini non trova facili paragoni e ci troviamo spiazzati, noi telespettatori musicali delle 23,00 e oltre. Le proposte sempre originali e complete di questa produzione Rai, in un format non scontato, accattivante e giornalisticamente bene integrato, costituiscono un pacchetto troppo interessante per essere prodotte ancora dalla Rai, sempre più ripiegata sull’intrattenimento scadente e sulla ricerca di fondi provenienti da pubblicità e sponsor. Il seguente è l’indirizzo per firmare la petizione per cercare di impedire che la musica che ci spetta, la musica che deve essere garantita dal canone, venga interrotta da chi è inutilmente posto all’inseguimento degli utili. https://www.change.org/p/direttore-generale-della-rai-raicinque-chiude-l-unico-magazine-di-cultura-musicale-in-italia-saveghiacciobollente?recruiter=452169838&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=autopublish&utm_term=des-lg-share_petition-reason_msg&fb_ref=Default E questo è un altro indirizzo interessante sull’argomento: http://www.rockol.it/news-650773/carlo-massarini-ghiaccio-bollente-chiude-petizione-per-salvarlo I musicofili sono sempre alla ricerca del bel suono e della musica di qualità. Sempre e comunque.

mercoledì 13 gennaio 2016

Il popolare.

Non c’è niente da fare. E’ proprio vero: vinci se sei popolare. Non bravo, no. Popolare. E puoi essere popolare per una seria infinita di motivi: puoi essere simpatico, serio, antipatico, triste, cretino. Non un cretino qualsiasi, un cretino conosciuto, popolare. Ma non bravo. Essere bravo ti mette in un angolo, ti ghettizza, ti costringe a dimostrarlo a ogni occasione. Poi vieni portato ad esempio, ed è la fine. Non puoi più sbagliare. Ma una vita da popolare, che spasso. Puoi fare le sciocchezze più clamorose, scambiare congiuntivi con trapassati remotissimi e non succede… nulla. Ottenere crediti è una formalità, dare un’opinione su qualsiasi tema diventa possibile e credibile. Ma come diventare popolare? Non lo so. Non sono popolare e non desidero affatto diventarlo, forse.