Quando è stato possibile, ho frequentato gruppi. Ora li osservo con curiosità, mi chiedo quali motivazioni diverse o uguali alle mie possano avere altre persone che fanno gruppo.
Suppongo sia il senso di appartenenza a qualche cosa che supera i
singoli, il percepirsi come un "noi", che definisce i confini e i rapporti nel
contesto sociale, ma anche la comunanza
delle relazioni all'interno. Gruppo intorno a una persona, un'idea, all'affermazione di uno o più valori, a un
compito specifico o soltanto dall'interesse a stare insieme.Nella nostra rarefatta società a questa rappresentazione del gruppo viene attribuita una connotazione positiva, idealizzata; il gruppo diventa il luogo in cui, attraverso comunicazioni reciproche, (benedetta reciprocità) si realizza un'unità più o meno armonica, in cui ciascuno ha una partecipazione attiva. Ma la mia personale esperienza in merito non conferma l'immagine ottimistica e positiva del gruppo, se non nelle fasi di crescita, nella fase di entusiasmo e ottimismo. Poi si mettono piuttosto in luce dissimmetrie, divergenze, contrapposizioni e tensioni, anche aspre e dolorose. Ogni gruppo vive sentimenti ambivalenti, tra il desiderio di appartenere e darsi totalmente ai progetti e la spinta ad affermare e imporre i propri bisogni, la propria identità individuale, le vere aspettative, fino a quel punto taciute o messe in attesa. Sono pertanto in gioco intense emozioni e si ricorre alle rappresentazioni idealizzate per tenerle a bada. Qualcuno, questa cosa, la chiama socializzazione. Altri se ne servono.
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