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domenica 15 ottobre 2017

Storie di creazione di consenso.



L’inizio dell’impegno in ambito pubblico in grandi partiti è per forza di cose da timorati. Piccole riunioni, frasi dette a metà, scelta del leader momentaneo, scelta della corrente più forte da seguire.
Mano a mano che il tempo passa e si dimostra di essere affidabili, persone si affiancano, si toccano temi e argomenti più impegnativi, si prova a ricoprire ruoli più consoni al titolo di studio che si possiede o all’attività lavorativa che si svolge. L’organizzazione politica che ospita dà spazio e lascia fare.
Normalmente all’inizio si appoggiano esigenze di fasce di popolazione in difficoltà: in fondo il succo della partecipazione alla vita di società deriva da nobili motivazioni. Giustifica l’impegno e responsabilizza.
Se tutto prosegue secondo piani più o meno prestabiliti – le variabili sono innumerevoli – alla funzione di attivista subentra quella di coordinamento di un gruppo più o meno numeroso, che arriva a essere interessante politicamente. Ciò deriva da indubbie qualità personali dei componenti, da radicate convinzioni motivazionali, da un opportuno carattere coinvolgente e non prevaricante di chi coordina.
Maturano i primi obbiettivi. Cosa se ne fanno di questa forza i gruppi così costituiti? Dove concentrano la loro azione di impatto sociale, di esercizio della coesione delle idee e delle persone coinvolte? Qui si arriva ad un bivio decisivo per le sorti del gruppo così faticosamente costituito: continuare, migliorando le conoscenze e le attitudini fino a farle diventare sistema operativo specializzato o cambiare target di riferimento e tentare la scalata sociale verso traguardi sostanzialmente diversi da quelli di partenza?
Qui si capisce chiaramente, si delinea, finalmente, il progetto iniziale del gruppo: quali fossero le reali intenzioni di persone che, partendo dalla condivisione di problematiche sociali urgenti, enormi e non sostituibili con altro, attraccano in porti esclusivi, poco numerosi ma con disponibilità economiche e di prestigio ingenti, non paragonabili a quelle offerte dal punto di partenza. Un doping del futuro consenso, che permetterà di chiedere comunque sostegno alle classi in difficoltà e che si avvarrà del prestigio di ambiti ristretti e molto, molto esclusivi.
Sono le ambizioni di questo tipo, per nulla legittime, che sfasciano irrimediabilmente la capacità della politica di risolvere i problemi partendo dal basso. L’ascensore sociale a gettoni.

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