L’inizio
dell’impegno in ambito pubblico in grandi partiti è per forza di cose da
timorati. Piccole riunioni, frasi dette a metà, scelta del leader momentaneo, scelta
della corrente più forte da seguire.
Mano
a mano che il tempo passa e si dimostra di essere affidabili, persone si
affiancano, si toccano temi e argomenti più impegnativi, si prova a ricoprire
ruoli più consoni al titolo di studio che si possiede o all’attività lavorativa
che si svolge. L’organizzazione politica che ospita dà spazio e lascia fare.
Normalmente
all’inizio si appoggiano esigenze di fasce di popolazione in difficoltà: in fondo
il succo della partecipazione alla vita di società deriva da nobili
motivazioni. Giustifica l’impegno e responsabilizza.
Se
tutto prosegue secondo piani più o meno prestabiliti – le variabili sono
innumerevoli – alla funzione di attivista subentra quella di coordinamento di
un gruppo più o meno numeroso, che arriva a essere interessante politicamente. Ciò
deriva da indubbie qualità personali dei componenti, da radicate convinzioni motivazionali,
da un opportuno carattere coinvolgente e non prevaricante di chi coordina.
Maturano
i primi obbiettivi. Cosa se ne fanno di questa forza i gruppi così costituiti?
Dove concentrano la loro azione di impatto sociale, di esercizio della coesione
delle idee e delle persone coinvolte? Qui si arriva ad un bivio decisivo per le
sorti del gruppo così faticosamente costituito: continuare, migliorando le
conoscenze e le attitudini fino a farle diventare sistema operativo specializzato
o cambiare target di riferimento e tentare la scalata sociale verso traguardi
sostanzialmente diversi da quelli di partenza?
Qui
si capisce chiaramente, si delinea, finalmente, il progetto iniziale del gruppo:
quali fossero le reali intenzioni di persone che, partendo dalla condivisione
di problematiche sociali urgenti, enormi e non sostituibili con altro,
attraccano in porti esclusivi, poco numerosi ma con disponibilità economiche e
di prestigio ingenti, non paragonabili a quelle offerte dal punto di partenza.
Un doping del futuro consenso, che permetterà di chiedere comunque sostegno
alle classi in difficoltà e che si avvarrà del prestigio di ambiti ristretti e
molto, molto esclusivi.
Sono le ambizioni di
questo tipo, per nulla legittime, che sfasciano irrimediabilmente la capacità della
politica di risolvere i problemi partendo dal basso. L’ascensore sociale a
gettoni.
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