Uno
scambio di opinioni sulla piattaforma di Possibile (ViePossibili) sulla
rappresentanza politica mi ha dato lo spunto per riflettere sul tipo di uomo politico
che frequenta ultimamente le istituzioni italiane.
Da
ormai molti anni si assiste all'ascesa nella vita politica delle libere
professioni (avvocati, medici, commercialisti, ecc.) e dei giornalisti, poi dei
funzionari di partito e sindacali o dei ceti popolari. Se si vuole, il grado di
rappresentatività dei parlamenti rispetto alla popolazione è aumentato, anche
se le assemblee non sono 'specchi' fedeli della società.
Il
livello più alto di rappresentatività è stato raggiunto dove il partito
organizzato ha pesato di più nel reclutamento parlamentare. Il declino negli
ultimi decenni di questa forma di partito sta allontanando i parlamenti da quel
punto massimo.
L'appartenenza
alla categoria degli 'esperti', le carriere nelle sempre più estese macchine
pubbliche, ma anche la provenienza dall'imprenditoria privata e dal mondo dei
media e il collegamento ai gruppi di interesse (notate la delicatezza, cerco di
non scrivere lobby) sono destinati a “giocare” un ruolo crescente nel reclutamento
dei politici.
Ci
sono anche altri caratteri che sono utili a capire la provenienza dei novelli
eroi. L'appartenenza a gruppi etnici, linguistici, religiosi, che in un’Italia che
si scopre un po’ sovranista, identitaria e populista, mette benzina sul fuoco
della separazione delle caratteristiche del “rappresentante” del popolo o del “delegato”,
come si voglia chiamarlo. La rappresentanza femminile, minoritaria in passato e
un po’ migliorata nel presente, è cresciuta troppo poco in Italia.
La
considerazione che mi preme fare è questa: sistema elettorale maggioritario o
proporzionale, collegio piccolo o grande, la “professione” del politico non ha
gradimento nel popolo. Ed è un fuggi fuggi dalla condizione originaria, più
faticosa, di capace mediatore e solutore di problemi sociali; questa primaria
funzione è sostituita drammaticamente in alcuni casi, comicamente in altri, da “agenti
di commercio politico” abili a smarcarsi dalle provenienze senza mostrare alcun
rispetto per il ruolo ricoperto. Fugge e non si ritrova il valore della
rappresentanza; il cui significato non sarebbe quello di dipendenza da opinioni
e criteri immobili, ma appartenenza ad un gruppo sociale che ha scelto una
persona con idee presentate prima, in campagna elettorale e con la sua vita
attiva e politica, ad un gruppo sociale che gli fornisce la possibilità di
esercitare la funzione di eletto.
Ai
miei occhi, certo, che una gran parte di cittadini ha già accettato questo
stato di cose e apprezza, in molti casi, la furbizia, il cinismo, la scaltrezza,
il cambio di opinione a fini di cattura del consenso e mantenimento dei posti
di potere.
Ma
io sono antico, molto antico.
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