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martedì 9 luglio 2019

Questione di simboli.


Mi è capitato sovente di soffermarmi sul bel simbolo di Possibile e di cercare di intuire le motivazioni che hanno spinto i dirigenti e il fondatore a scegliere e rendere simbolo di un partito, appunto, l’eguaglianza.
Già, l’eguaglianza. Sembra facile, istintivo, ma è complicato cercare di definire questa aspirazione. Intanto, è politica? E’ economica? Attraversa la società che vuole adottarla in senso reale o resta legata alla rappresentanza, alla politica, da rendere finalmente accessibile e influenzabile con sistemi quanto meno diversi? Uguale nei diritti nei diritti e nei doveri, questa società, o uguale nella disponibilità di risorse per le pari opportunità dei cittadini?
Intanto io vorrei che l’impegno dei rappresentanti del popolo derivi da un interesse comune e profondo per la giustizia dei risultati, per l’equità (eguaglianza) nella distribuzione delle ricchezze disponibili. Vorrei che le decisioni prese mi inorgoglissero e che ogni successo o insuccesso della comunità fossero anche i miei. Ora questo non succede, la contestazione è sistematica ma non riesce a fare stringere intorno a qualcosa le personalità disperse a sinistra, per gli stranoti problemi di deficit di credibilità derivati da decenni di rincorsa al liberismo.
Il simbolo cerca di segnalare il bisogno di maggiore influenza politica in questa società, che sembra dare alla politica un ruolo di distribuzione di risorse senza responsabilità collettiva (si spiega forse così l’enorme debito pubblico italiano e gli altri fenomeni degenerativi).
Chissà se l’aspetto morale ha un suo peso, in tutto questo. L’eguaglianza è morale, mi pare.

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