Mi
è capitato sovente di soffermarmi sul bel simbolo di Possibile e di cercare di
intuire le motivazioni che hanno spinto i dirigenti e il fondatore a scegliere
e rendere simbolo di un partito, appunto, l’eguaglianza.
Già,
l’eguaglianza. Sembra facile, istintivo, ma è complicato cercare di definire
questa aspirazione. Intanto, è politica? E’ economica? Attraversa la società
che vuole adottarla in senso reale o resta legata alla rappresentanza, alla
politica, da rendere finalmente accessibile e influenzabile con sistemi quanto
meno diversi? Uguale nei diritti nei diritti e nei doveri, questa società, o
uguale nella disponibilità di risorse per le pari opportunità dei cittadini?
Intanto
io vorrei che l’impegno dei rappresentanti del popolo derivi da un interesse
comune e profondo per la giustizia dei risultati, per l’equità (eguaglianza)
nella distribuzione delle ricchezze disponibili. Vorrei che le decisioni prese
mi inorgoglissero e che ogni successo o insuccesso della comunità fossero anche
i miei. Ora questo non succede, la contestazione è sistematica ma non riesce a
fare stringere intorno a qualcosa le personalità disperse a sinistra, per gli
stranoti problemi di deficit di credibilità derivati da decenni di rincorsa al
liberismo.
Il
simbolo cerca di segnalare il bisogno di maggiore influenza politica in questa
società, che sembra dare alla politica un ruolo di distribuzione di risorse
senza responsabilità collettiva (si spiega forse così l’enorme debito pubblico
italiano e gli altri fenomeni degenerativi).
Chissà se l’aspetto morale ha un suo peso, in tutto
questo. L’eguaglianza è morale, mi pare.
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