Albert
King aveva l’abitudine di presentarsi come fratello di B.B. King, ma non lo era.
Lo faceva per creare il clima di simpatia che gli era necessario e con un
sorriso subito dopo chiariva. Criticava aspramente il blues bianco, lo umiliava
suonando un blues nudo e crudo, elegante ma pieno di tensione. Era il suo “hard-blues”,
il marchio di fabbrica. Come se non bastasse era mancino e come successe ad
altri chitarristi mancini si stufò di cambiare l’ordine delle corde e imparò a
suonare lo strumento così, come i veri artisti, pigri e geniali, sanno fare.
Adoro
Albert King, perché ha modernizzato il blues elettronico fondendolo con il
soul. Una mistura eccezionale. La mia classifica prevede da sempre Eric Clapton,
Stevie Ray Vaughan, Albert Collins e Albert King, jolly che risolve la fame di
blues. Nativo del Mississippi, avrebbe suonato con John Lee Hooker e John
Mayall. Ma sapeva suonare dal vivo coinvolgendo gli spettatori, questo era il
segreto: simpatico, garbato, sapeva “tenere” il suono della sua Gibson in modo
inimitabile. Un divulgatore di blues, mi piace definirlo.
E come tale, sentirlo in Born Under a Bad Sign con Stevie Ray Vaughan, è rivitalizzante!
Viva il Blues!
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