John
Lee Hooker usò sempre la chitarra acustica. Questo lo fece diventare il
precursore della moda “unplugged”. Lo stile di questo grande maestro, la cui
voce profonda ed espressiva è sostenuta da un ritmo elettrizzante, è da
interprete integro e non compromesso con le mode musicali. Utilizzò sempre il
verso libero, marchio di fabbrica inconfondibile, che lo designò improvvisatore
e paroliere diretto e incisivo. Tuttavia in diversi brani non disdegna l’antica
usanza dei più vecchi bluesman del sud
che utilizzavano lo slang e i doppi sensi molto presenti nel linguaggio colloquiale
della comunità nera ma difficili da capire per il pubblico bianco, la qual cosa
provocava giubilo fra i neri.
E’
e sempre sarà “The Boogie Man”. La sua voce, il modo di suonare la chitarra, l’utilizzo
delle scarpe battute in terra come percussioni, hanno costruito uno stile
ossessivo, drammatico, coerente sempre. Ognuno dei pezzi che ha scritto è
basato su una storia vera, personale o no.
Hooker
“picchiettava” le corde della chitarra, ottenendo un ritmo insistente. La sua
voce, particolare perché John era affetto anche da un piccolo “difetto di
vocalizzazione”, ottiene l’effetto di approfondire l’interpretazione, spesso
profonda e grave nei pezzi più drammatici e giovanilmente contagiosa in quelli
di boogies.
Una
annotazione personale: la mia passione per il Blues trova in Hooker il punto
iniziale e il punto di arrivo, l’emozione fatta musica. Insomma, un vero
spasso. Come lui, tutti dovremmo dire “la cattiva sorte non può nuocermi”.
Vi
propongo un pezzo tratto da “The Healer”, il disco del 1989 che gli valse il
Grammy.
The
Healer, con Sua Maestà Carlo Santana.
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