Ho
trovato in Muddy Waters la carica di energia che cercavo nel Blues. E’ il Blues
assordante e intossicante dell’interprete più rappresentativo e decisivo della
storia di questo genere musicale che ci voleva per rivoluzionare come una
valanga un placido torrente come il Blues degli anni ’70. Non suonava accordi,
non seguiva niente di scritto. Suonava note, sempre note di blues.
Un
suo pezzo, per dimostrare la carica energetica che sprigionava soprattutto nei
concerti – Rolling Stones, del 1950 –
convinse Mick Jagger a dare questo nome al mitico gruppo rock.
Le
sue canzoni richiamano costantemente il country blues più puro, quello delle
censurate (!) canzoni dei lavoratori afroamericani. Lo slide era predominante,
la sua particolarità era di allungare o abbreviare le strofe; questa abitudine
gli fece frequentare più avanti anche ambienti jazz, con buon successo.
Diceva
del blues: “I neri sono i migliori cantanti di blues. I bianchi tentano di
suonarlo… ma a modo loro”.
Al
suo attivo si contano tre Grammy consecutivi, nel 1977,1978 e 1979.
Lo
ricordo ancora, quel pomeriggio passato al cinema, qui a Siderno, a vedere con
altri cari Amici il film “The Last Waltz”, l’addio artistico del gruppo The
Band firmato da Martin Scorsese. Muddy Waters era tra gli ospiti. Ricordi in polvere, con l’audio imperfetto ma
da spettacolo definitivo, che aprì alla conoscenza di generi musicali alternativi.
Siamo nel lontano 1976, chissà se qualcuno ricorda…
Questo
è il “suo” pezzo preferito, come disse più di una volta, mi va di essere d’accordo…
Long
distance call, lo slide nel blues diventa legge.
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