Ah,
ma non è un controsenso. Mentre si cerca l’eccesso (solo mediatico) in un
Festival della Musica Italiana comunque necessario per rendere varia la
programmazione televisiva e per ossigenare l’industria della musica pop, io mi
catapulto nella musica “martelli e ferraglia” mischiati in modo fantasticamente
sincopato da questo matto del Funky, del Soul e del Blues.
Appena
esploso il rock&roll, nella metà degli anni cinquanta, James Brown invade
il palcoscenico: cantante, tastierista, compositore, innovatore, promotore e
produttore. Il Blues con lui evolve anche socialmente.
Incursioni
nel gospel (all’inizio), nel blues, nel rap. Ma Brown è il simbolo della Funky
Music. Davvero chi ha attraversato gli anni della soul-disco non può non
ricordare la potenza ritmica della sua musica, accompagnata da esibizioni di
ballo sfrenate e irresistibili.
Un
dato sulla sua pignoleria nella gestione del “marchio” è dato dal numero di “multe”
destinate al suo seguito: manager, segretario, public relations, maggiordomo,
guardarobiera, sarta, parrucchieri, gorilla e… musicisti, certo. Tutti multati
almeno una volta a concerto per motivi seri o inezie.
Un
ruolo lo ebbe anche durante la rivolta razziale successiva all’omicidio di
Martin Luther King, quando cercò di sedare la rivolta con un messaggio
televisivo apprezzato anche dal Presidente Johnson.
Nato
nel 1928 lavorò come spazzino (oggi diremmo operatore ecologico), lustra
scarpe, distributore di ghiaccio e, alla fine, musicista.
Il
tratto che mi interessa di più? La sua vita è interamente dedicata all’esaltazione
delle virtù degli afroamericani. Accusato di sostenere Malcolm X, finì per
dichiararsi non violento. Che percorso netto!
Se
ci chiediamo se c’è un solo posto sulla Terra in cui non abbiano suonato “Sex
Machine”, la risposta è no, non esiste.
E’
quindi impossibile non ascoltare Sex Machine, vera opera cult: inimitabile e
ancora coinvolgente.
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