Chi
ha a che fare con partiti, identità e appartenenze sa, anche inconsciamente, che
sarà sempre vittima delle elezioni, sia come elettore che come attivista.
La
strategia elettorale dei partiti e movimenti è in fondo tutta uguale: attirare
consensi da elettori di altri partiti e da nuovi elettori, conservare il più
possibile i consensi dei propri elettori. I gestori del consenso devono confermare
la fiducia di chi è già stato convinto e devono creare fiducia in chi non lo è
ancora.
Il
primo tipo di messaggi fa appello alla tradizione e alla memoria collettiva del
partito, se c’è. Il secondo deve fare risaltare il progetto, il programma per
il futuro.
In
tempi “normali”, quando li abbiamo per caso attraversati, i due tipi di messaggi
possono coesistere, mentre i problemi diventano tragicomici quando il partito
deve fare una svolta strategica che mette in gioco la sua identità (ad esempio,
un cambiamento di alleanze, come recentemente accadono in gran numero senza ritegno).
In
questo caso la sua storia deve essere rivisitata, gli accenti e i silenzi
spostati, così come devono essere modificati i programmi, ignorando
clamorosamente (per alcuni, in modo necessario per altri) alcuni passaggi
storici fondanti.
Questi
processi avvengono con difficoltà, sono i cosiddetti bocconi amari da digerire;
contrasti e resistenze interne mettono a dura prova la fedeltà degli antichi
militanti e sostenitori, alcuni dei quali non si riconosceranno più nella nuova
entità che emerge dalla 'svolta' e abbandoneranno il partito. Le chances di
sopravvivenza del partito dipenderanno dalla sua capacità di far fronte al
problema della divaricazione tra memoria e progetto.
Ah,
la memoria: a volte sparisce, a volte ricompare. Molte volte, compare.
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