mercoledì 16 dicembre 2015
Quale società.
Se il capitalismo finanziario italiano si camuffa da fornitore di posti di lavoro, siamo ben disposti a tollerare restrizioni al reddito, a orari di lavoro, a pensioni irraggiungibili per la generazione dei 50enni e per le persone più giovani.
Il capitalismo italiano ha questo di buono: riempie gli scaffali di merce e svuota i crani di idee progressiste. Ci racconta di benessere economico da raggiungere con il merito, con lo studio. Ci fa comprare mezzi e beni sofisticati a poco prezzo. Ci allontana consapevolmente dalle religioni tradizionali, ci avvicina inconsapevolmente ai riti propiziatori dell’accumulo del dio denaro e della sua spesa immediata. Ci traduce in un italiano semplice che la sanità la puoi comprare, che quella di base deve consistere in pochi servizi essenziali, non di più. Che i trasporti, ormai, li puoi avere a pochi euro, per raggiungere le mete più distanti e che devi però tollerare l’impossibilità di usare reti capillari che consentano di raggiungere il tuo capoluogo in tempi brevi. Che devi avere la carta di credito, a pagamento. In Italia la devi pagare, ma IMU e tasse sul lusso è profondamente ingiusto farle pagare ai fornitori di lavoro e ai capitalisti della finanza, ben mimetizzati tra i politici del disgusto. Dobbiamo essere benevoli, noi proletari della parola e del basso pensiero, nei confronti del capitale italiano. Ci fa respirare, esistere.
Il capitale italiano non ha colore politico, è grigio. A colorare la vita ci pensano i mezzi di informazione e disinformazione. Ovviamente quasi tutti in mano al capitale, quello buono, che si occupa di te.
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